(ASI) Imbattersi in “Login”, vuol dire fare un salto nel mondo dei giovani d’oggi. Solitudine, voglia di evasione, un computer a portata di mano e l’incertezza del futuro.
Con un elaboratore, si può fare qualunque cosa, anche spogliarsi davanti ad una web cam per soldi, di fronte ad una marea di sconosciuti. “Login”, edizioni Il Foglio (collana autori narrativa contemporanea, 2010) è il ritratto spietato, ma altrettanto realistico della cosiddetta generazione web 2.0. Scritto a tre mani, da Germano Pettarin, Chiara Pradella e da Enzo d’Amico, forse per mettere in guardia gli adolescenti proprio da quel mondo da loro descritto. Certamente, con passione ed ingenuità, con limiti ed esagerazioni. Sembrerebbe tuttavia proprio fatto a misura di quel mondo che tornato da scuola, si collega, in una casa vuota, in quel mondo dove tutto può accadere.
Sebbene le intenzioni siano ottime, “Login” ha diversi limiti. Se è pur vero che il libro è destinato ad un target giovanile, gioverebbe ricordare agli autori che la lingua italiana non può essere stravolta, né può essere soggetta a continue licenze poetiche. Difatti, l’italiano, sia scritto che parlato, ha delle regole, e vanno rispettate. Per fare una breve carrellata, non viene rispettata la punteggiatura, (vizio ricorrente è non usare la lettera maiuscola dopo il punto!), vi sono doppi pronomi, e il tempo verbale che prende il nome di congiuntivo, è completamente ignorato, senza contare gli errori di ortografia (speriamo siano refusi di stampa), sbagliando anche nello spezzare una parola per riportarla nella riga successiva.
Pertanto, è utile far conoscere al grande pubblico il linguaggio giovanile odierno, introducendo lemmi come: “cazzeggiare”, “sloggarsi”, “la pula”, “nuovo di pacca”, “il cell”, “la cam”, “sei mitika”, e molti altri. Sarebbe altrettanto positivo utilizzare una forma stilistica corretta.
A dare supporto alla trama, fanno l’apparizione Giacomo Leopardi e Salvatore Quasimodo, nonché qualche cantante di grido. Grandi ideali, quali l’amore (tra falsità e realtà, giovinezza e età adulta), l’istruzione (che, a giudizio degli autori, non dovrebbe esser vista come un lavoro simile alla catena di montaggio, ma in grado di formare delle coscienze, e quindi delle future classi dirigenti) e l’amicizia sono motivi portanti del testo, risentendo chiaramente della personalità degli autori. Ed infine il gran finale, ove il bene sconfigge il male, il cattivo viene messo fuori gioco, e l’amore, quello vero, prende il sopravvento. Quasi dovesse per forza finire così, perché la redenzione passerebbe prima per errori quasi obbligatori, e poi tutto, come per magia, si sistema. Sebbene i media raccontino casi che il più delle volte finiscono in tragedia.
Nel 2010, anno di pubblicazione di questo libro, v’è stata una menzione speciale della giuria della Scuola Holden (scuola di scrittura), durante la cerimonia di premiazione delle opere letterarie. Di sicuro avranno considerato l’impegno e la trama. Se si fossero soffermati più sulla forma, converrebbero con me, che “senno poi so che ci ripenso” non ha senso in lingua italiana. Né scritta, né orale. Se mai vi fosse un seguito, speriamo che Pettarin, Pradella e d’Amico, possano ascoltarmi.
Valentino Quintana per Agenzia Stampa Italia