(ASI) L’ultimo rapporto dell’Ufficio sulle Droghe e il Crimine delle Nazioni Unite, UNODC, traccia il quadro della situazione mondiale relativa all’uso di stupefacenti. Nel 2010, 250 milioni di persone, pari al 5 per cento della popolazione mondiale, risultano aver fatto uso di sostanze illecite almeno una volta; 27 milioni (o.6 per cento) cosiddetti consumatori abituali; 200 mila decessi. Le droghe illecite, si legge nella prefazione, minano lo sviluppo economico e sociale e alimentano criminalità, instabilità, insicurezza e la diffusione dell’HIV.
I dati concernenti la produzione di oppiacei e cocaina sono positivi rispetto agli anni precedenti, anche se una lettura più attenta rivela che il trend positivo è solo apparente e tutto da confermare negli anni a venire: la produzione globale di oppio ammonta a 7 mila tonnellate nel 2011, un quinto in meno rispetto al picco raggiunto nel 2007 ma in crescita dall’inizio del 2010, dopo che un parassita aveva distrutto oltre la metà delle piantagioni in Afghanistan, paese che continua ad essere il maggior produttore mondiale nonostante la militarizzazione massiccia e dieci anni di guerra ai talebani.
Le aree coltivate a cocaina nel mondo sono scese del 18 per cento tra il 2007 e il 2010, del 33 per cento dal 2000. Tuttavia, alle azioni di contrasto e prevenzione corrisponde un incremento esponenziale della produzione e del consumo di sostanze psicoattive che sfuggono al controllo internazionale: le cosiddette droghe sintetiche, sono composti di laboratorio che si confezionano facilmente attraverso la sintesi di elementi chimici reperibili comunemente sui mercati legali. Le piccole e grandi organizzazioni criminali mostrano uno straordinario grado di flessibilità nell’adattare strategie di produzione che eludano i controlli, attraverso l’utilizzo di sostituti chimici, l’estrazione dei precursori (sostanza da cui ne è prodotta un'altra, attraverso processo metabolico) da prodotti farmaceutici, e lo sviluppo di metodi alternativi di composizione. Il mercato di ‘ectasy’, ad esempio, denota segni di ripresa praticamente in tutto il mondo. Nonostante il declino dei sequestri effettuati, il numero dei laboratori clandestini è aumentato, lasciando intendere una preoccupante difficoltà degli organi di contrasto fronte al problema, trattandosi ormai di fenomeno non più recente.
Analizzando le caratteristiche del problema droga nella sua complessità, nel rapporto UNODC le sostanze più consumate sono la cannabis e i suoi derivati, seguita da meta-amfetamine, eroina e cocaina. L’area con il mercato più grande di sostanze illecite è il Nord-America, mentre le concentrazioni maggiori in termini di produzione si ritrovano in Africa e nelle Americhe per la cannabis, in Asia per gli oppiacei. Il consumo è prevalente nella popolazione maschile, mentre si riscontra un uso sregolato di sostanze lecite da parte delle donne; anche se il rapporto tra i generi dipende molto dalle realtà culturali di ogni paese considerato, la tendenza è generalizzabile.
Gli sforzi di prevenzione e repressione a livello internazionale hanno calmierato il tasso di consumo di sostanze illecite e i rischi conseguenti in termini di salute e sanità pubblica. Il report, curiosamente, compara questi dati con quelli -in continua crescita- sul consumo di alcol e di tabacco, definite “propriamente” sostanze lecite: alcol e tabacco si diffondono legalmente come un’epidemia silenziosa ma uccidono più lentamente, risultando quindi meno letali e socialmente più sopportabili.
Nonostante i dati, incoraggianti e sconfortanti allo stesso tempo in una visione realistica delle cose, la lettura d’insieme del report 2012 indica il difetto di una società incapace di proporre modelli culturali che siano alternativi alle dinamiche autodistruttive del mondo moderno, le cui vittime sono e saranno le generazioni a venire. Tutti gli sforzi alla prevenzione e alla repressione del fenomeno –dalla produzione al consumo- continueranno a dimostrarsi tristemente inadeguati, fino a quando non si comincerà a considerare l’esigenza di una rifondazione del modello comunitario e la necessità di una reale partecipazione dell’individuo alla sua costruzione, sottraendolo allo stato di alienazione in cui è costretto.
Fabrizio Torella Agenzia Stampa Italia
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