Sarà un G20 pieno di polemiche e veleni. E venti banche internazionali starebbero per fallire.
Mancano poche ore all'inizio del vertice dei cosiddetti "Grandi della Terra" nella capitale sud-coreana Seoul, in quell'ex "tigre asiatica", dove gli scioperi nella fabbriche sono ormai all'ordine del giorno, e dove gli illusori trionfalismi economici e finanziari di fine Anni Novanta sono solo lontani ricordi.
Secondo molti analisti e osservatori, questo G20 sarà contraddistinto dalle numerose polemiche che hanno fin qui caratterizzato lo scenario internazionale. Su tutti la sfida tra la Cina e le principali economie dell'Occidente, dopo il duro botta e risposta tra Wen Jiabao e i vertici politici dell'UE e degli Stati Uniti, in merito alla rivalutazione dello yuan. Sale la tensione anche per le possibili accuse di Angela Merkel nei confronti degli Stati Uniti, in merito allo scoperto cui potrebbero ricorrere per uscire dalla crisi. Il nervosismo in casa Usa non è certo da meno, ed anzi, è forse proprio da Washington che si stanno innescando, una dietro l'altra, tutte le diatribe internazionali. I crescenti rapporti commerciali tra Cina e Giappone (seconda e terza economia mondiale per produzione) sembrano non piacere all'amministrazione Obama, che invita Tokyo a rivedere il piano delle esportazioni. Intanto il Financial Times non batte ciglio per rincarare la dose. Secondo il quotidiano inglese, infatti, il G20 si starebbe preparando a compilare una lista di addirittura ben 20 banche che sarebbero sull'orlo del fallimento, tra le cosiddette banche "too big to fail" (troppo grandi per fallire), e fra queste vi sarebbero nomi di primo piano quali quelli della banca tedesca Deutsche Banke, delle banche statunitensi Bank of America-Merryl Lynch, Citigroup, Goldman-Sachs, JPMorgan Chase, Morgan Stanley, di alcune britanniche - Barclays, HSBC, Royal Bank of Scotland e Standard Chartered - della banca canadese RBC, delle due spagnole Santander e BBVA, delle francesi BNP Paribas e Societè Generale, delle banche italiane Banca Intesa e Unicredit, delle giapponesi Mitsubishi UFJ, Mizuho, Nomura, Sumitomo Mitsui e della olandese ING. E' inutile dire che, se ciò trovasse anche soltanto parziale riscontro nel prossimo futuro, gli effetti immediati per l'economia mondiale sarebbero catastrofici.