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Il riassetto arabo e la guerra per il gas

(ASI) La fantomatica primavera che circa 12 mesi fa ha ridisegnato la mappa del potere, e delle influenze, nell’Africa mediterranea ha ovviamente rimescolato le carte in tavola anche per quanto attiene lo sfruttamento delle tante risorse del sottosuolo della regione.

In particolare è l’Egitto, orfano di Mubarak, il paese che maggiormente sta contribuendo a creare nuovi problemi nell’area.

Da tempo infatti si registrano attacchi all’Arab gas pipeline, il gasdotto che, via Sinai, consente la fornitura di gas a molti paesi della regione mediorientale. Tramite questo l’Egitto esportando qualcosa come 5 miliardi di metri cubi di gas in un anno, in primis verso Israele e la Giordania; ora però questi ripetuti attacchi stanno mettendo a rischio queste forniture, con pesanti ripercussioni per i paesi privati del gas ma anche per le già provate casse egiziane.

I disordini dello scorso anno, ad esempio, hanno provocato ben dieci interruzioni nell’esportazione del gas con il gasdotto reso inutilizzabile per quasi sette mesi; Israele che importa poco meno del gas che vi transita ha ovviamente accusato il colpo; a rendere la situazione ancora più complessa la discutibile decisione del governo de Il Cairo di rinegoziare, ovviamente al rialzo, il prezzo del gas.

Se la Giordania, che importa dall’Egitto l’80% del gas di cui necessità ha dovuto sottostare senza colpo ferire a questa decisione le rimostranze sioniste non si sono invece fatte attendere, tanto che Israele ha subito interrotto ogni trattativa in tal senso.

A rendere tanto spavaldo Israele la scoperta di nuovi giacimenti al largo delle sue coste, anche se nel breve periodo l’interruzione della fornitura egiziana rischia di frenare il paese e la sua economia.

Il nuovo giacimento Tamar dovrebbe diventare operativo entro la metà del 2013 e dovrebbe garantire alla Israel electric corporation circa tre miliardi di metri cubi all’anno, ed inoltre potrebbero permettere anche al governo israeliano di esportare parte del gas presente nel giacimento, anche se è ancora in fase di studio il metodo per destinarlo a mercati esteri.

Allo studio la possibilità di trasportare il gas nel porto di Eilat o, in alternativa, la costruzione di un terminal di liquefazione nel Mediterraneo o il trasporto in Europa tramite la Grecia, ipotesi che per il momento sembra però poco praticabile a causa della grave crisi economico-finanziaria del paese ellenico.

Il governo sionista però potrebbe anche decidere di “vendicarsi” dell’Egitto esportando parte del gas alla Giordania, che in questo momento sta vivendo una pesante crisi energetica, cui va aggiunto il conto energetico dello scorso anno stimato in poco meno di sei miliardi di dollari. Per vincere l’atavica dipendenza energetica dai vicini potrebbe però accelerare la decisione del governo di realizzare almeno un impianto nucleare da 1000 Mw entro dieci anni, essendo il paese dotato di notevoli riserve di uranio, con l’obiettivo di produrre in loco almeno il 30% del proprio fabbisogno energetico entro il 2030-2040.

La questione quindi appare quanto mai ingarbugliata ed in una regione come quella medio-orientale sempre pronta ad esplodere non autorizza certo a sonni tranquilli.

 

Fabrizio Di Ernesto - Agenzia Stampa Italia

 

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