I(ASI) l 2024 sarà un anno elettorale per il continente indiolatino che potrebbe ridisegnare le gerarchie politiche locali e geopolitiche globali.
Se nella regione tiene ancora banco la fresca elezione dell’ultraliberista ed atlantico Javier Miliei avvenuta lo scorso 10 dicembre, sono ben 8 i paesi chiamati alle urne nei prossimi 12 mesi. In particolare sono le presidenziali in Messico, il prossimo 2 giugno, e quelle in Venezuela, si dovrebbe votare nell’ultimo quadrimestre del 2024, a monopolizzare l’attenzione ma anche il voto in Uruguay potrebbe ridefinire alcuni equilibri.
Oltre a questi tre paesi elezioni presidenziali si terranno anche ad El Salvador, fra un mese il 4 febbraio, a Panama il 5 maggio e nella Repubblica Dominicana 19 maggio e Uruguay (27 ottobre) inoltre ad ottobre brasiliani e cileni andranno al voto per le amministrative.
Sembrano esenti da sorprese le elezioni ad El Salvador dove il presidente uscente Nayib Bukele è praticamente certo di ottenere un secondo mandato più complessa la situazione a Città del Messico; la Costituzione impedisce il rinnovo del mandato presidenziale per Lopez Obrador nonostante l’alto consenso popolare di cui gode. L’effetto traino potrebbe però avvantaggiare la sua candidata del suo partito, Morena, ovvero Claudia Sheinbaum, anche perché i tre principali movimenti di opposizione di centro e destra non sembrano in grado di convergere su un unico nome.
Più complessa la situazione a Caracas. Nicolas Maduro è al potere dal 2013 ma durante i suoi due mandati non ha saputo seguire le orme di Hugo Chavez è la sua popolarità non è molto alta ma a livello governativo non appaiono candidature alternative, c’è poi l’opposizione che, sostenuta dagli Usa, riconosce a fatica la sua autorità per avendo dovuto incassare la sconfitta del goffo golpe orchestrato nel 2019 da Guaidò. Le opposizioni hanno tenuto le loro primarie dal quale è uscita vincitrice Maria Corina Machado, che però non ha ancora ottenuto il via libera dal Consiglio nazionale elettorale per partecipare al voto.
Messico e Venezuela, oggi nel campo progressista, rappresentano l’ago della bilancia di un continente diviso tra l’influenza Usa, dove l’Argentina è prepotentemente rientrata con la vittoria di Milei, e la voglia di indipendenza rappresentata dal Brasile di Lula. Fra un anno il quadro potrebbe essere molto più chiaro.
Fabrizio Di Ernesto