(ASI) Proprio oggi il Ministero degli Esteri cinese ha presentato un documento per spiegare, in pochi ma significativi punti, la posizione di Pechino in merito alle ostilità violentemente riesplose nel Vicino Oriente a partire dallo scorso 7 ottobre.
«Il conflitto israelo-palestinese in corso ha provocato pesanti perdite civili ed un grave disastro umanitario», recita il testo, che più avanti prosegue: «Il presidente Xi Jinping ha descritto la posizione di principio della Cina sullo situazione attuale in varie occasioni. Ha sottolineato l'esigenza di un immediato cessate-il-fuoco e della fine dei combattimenti, garantendo corridoi umanitari sicuri e senza ostacoli nonché prevenendo l'allargamento del conflitto».
Come già avvenuto per la guerra russo-ucraina, con la pubblicazione di un paper dedicato lo scorso 24 febbraio, ad un anno dall'inizio delle ostilità, anche di fronte al recente tragico risveglio dell'atavico conflitto a Gaza, la leadership del colosso asiatico ha messo per iscritto la sua visione dei fatti, proponendo al mondo una possibile soluzione.
Letteralmente ignorata, almeno per ora, dai principali Paesi NATO e freddamente accolta da Mosca quella per lo scenario dell'Europa Orientale, la speranza di Pechino è che questa proposta riesca invece ad essere maggiormente incisiva e convincente per le parti coinvolte e per i rispettivi alleati.
Il rapporto ricorda che il presidente cinese «ha sottolineato come la via d'uscita fondamentale risieda nella soluzione dei due Stati, costruendo un consenso internazionale per la pace e lavorando per una soluzione complessiva, giusta e definitiva alla questione palestinese quanto prima». La proposta di Pechino si compone di cinque punti, ispirati sostanzialmente alle istanze del diritto internazionale, al multilateralismo e ai cinque principi di coesistenza pacifica caratteristici della dottrina di politica estera cinese:
- Attivare un cessate-il-fuoco generale e la fine delle ostilità - Le parti belligeranti dovrebbero «seriamente applicare le risoluzioni dell'Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza dell'ONU», a partire dalla 2712, e porre immediatamente le basi per una tregua umanitaria prolungata e duratura;
- Proteggere concretamente i civili - La Risoluzione 2712 chiede in termini espliciti che tutte le parti rispettino i propri obblighi, in linea con il diritto internazionale umanitario. In particolare, Pechino chiede al Consiglio di Sicurezza dell'ONU di inviare un ulteriore chiaro messaggio di condanna dei trasferimenti forzati della popolazione civile palestinese, evitandone l'evacuazione e chiedendo il rilascio di tutti i civili e gli ostaggi prima possibile;
- Garantire l'assistenza umanitaria - «Tutte le parti principali, come da richieste della risoluzione del Consiglio di Sicurezza, devono: astenersi dal privare la popolazione civile di Gaza di forniture e servizi indispensabili alla propria sopravvivenza; stabilire corridoi umanitari a Gaza per attivare un accesso umanitario rapido, sicuro, privo di ostacoli e sostenibile; scongiurare un disastro umanitario di gravità ancora maggiore». In questo caso, la Cina si rivolge al Consiglio di Sicurezza affinché incoraggi la comunità internazionale ad intensificare l'assistenza umanitaria, migliorare la situazione umanitaria sul campo e sostenere il ruolo di coordinamento dell'ONU in generale e dell'Agenzia ONU per il Soccorso e l'Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) nello specifico, oltre a prepararsi per il sostegno alla ricostruzione post-bellica di Gaza;
- Rafforzare la mediazione diplomatica - Il Consiglio di Sicurezza, secondo Pechino, dovrebbe far valere il suo ruolo per facilitare il raggiungimento della pace, come previsto dalla Carta dell'ONU, e chiedere che le parti belligeranti esercitino moderazione in modo da: scongiurare che il conflitto si estenda; e tutelare pace e stabilità in Medio Oriente. Ci si appella di nuovo al Consiglio di Sicurezza affinché «valorizzi il ruolo dei Paesi e delle organizzazioni regionali, sostenga i buoni uffici del Segretario Generale e della Segreteria dell'ONU, ed incoraggi i Paesi influenti sulle parti belligeranti a supportare una posizione giusta e obiettiva tale da svolgere un ruolo costruttivo nella de-escalation»;
- Cercare una soluzione politica - Dopo gli sforzi per assistere i civili, limitare i danni e fermare gli eserciti, Pechino individua come unica garanzia di pace duratura la soluzione dei due Stati, descritta da numerose risoluzioni approvate nel corso dei decenni dall'ONU ma fin qui mai implementata. La Cina chiede dunque il rispetto dei legittimi diritti nazionali della Palestina e la creazione effettiva di uno Stato palestinese indipendente dotato di piena sovranità, basato sui confini del 1967, con Gerusalemme Est capitale.
Quella cinese è insomma una proposta che potremmo definire "a cerchi concentrici". Parte, cioè, dalle urgenze più immediate, a cominciare dai primi corridoi umanitari per la popolazione palestinese e dal rilascio di ostaggi e prigionieri, per poi passare ad un più consistente supporto ai civili sul campo, preparandosi sin da subito alla ricostruzione di Gaza, in gran parte distrutta dai bombardamenti israeliani, ed infine giungere a garantire ai palestinesi il diritto all'agognato Stato indipendente, chiudendo definitivamente uno dei capitoli più sanguinosi che il Novecento ha lasciato in eredità al mondo.
C'è ovviamente in ballo il ruolo diplomatico di una Cina che vuol farsi sempre più autorevole ed assertiva, non più soltanto nel contesto della regione Asia-Pacifico ma su scala globale, chiaramente senza rinunciare all'ascesa pacifica (o non-egemonica), che ha caratterizzato l'approccio del Paese alle relazioni internazionali sin dai tempi di Deng Xiaoping.
Conciliare le ambizioni di una «diplomazia da grande potenza» con la ricerca di una «comunità umana dal futuro condiviso», entrambi concetti-chiave nella dottrina politica di Xi Jinping, rappresenta di fatto la nuova grande sfida della politica estera cinese. Ed in Medio Oriente si gioca una delle partite più importanti in questo senso, anche nel quadro dell'Iniziativa Belt and Road (BRI).
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia