Allargamento e autonomia: così l’Europa vuole rispondere alle sfide contemporanee

(ASI) Murcia – Allargamento e autonomia: questi i due concetti chiave che hanno animato la riunione informale dei ministri degli Esteri europei tenutasi recentemente nella città iberica di Murcia.

L’evento è stato ospitato dalla Spagna, che attualmente detiene la presidenza del Consiglio dell’Unione europea. A presiedere l’incontro il padrone di casa José Manuel Albares, ministro ad interim degli Affari Esteri, dell'Unione europea e della Cooperazione. Ha partecipato anche l’ungherese Olivér Várhelyi in qualità di commissario europeo per l'allargamento e la politica di vicinato nella Commissione guidata da Ursula von der Leyen.

La presenza di Várhelyi è stata tutt’altro che casuale. Nonostante l’allargamento dell’Unione a nuovi paesi sia da lungo all’ordine del giorno, la questione è tornata negli ultimi tempi a rivestire un ruolo di primo piano. Ciò si è verificato per lo più in seguito allo scoppio di crisi che hanno messo in luce la necessità di Bruxelles di poter contare su alleati affidabili.

La pandemia da Covid-19, la crescente assertività della politica estera cinese, l’emersione di nuovi centri di potere desiderosi di farsi sentire ai tavoli negoziali internazionali, l’invasione dell’Ucraina, la guerra tornata a imperversare a due passi dai confini comunitari hanno spinto Bruxelles a lavorare per far tornare la pace attraverso il dialogo, la mediazione, la diplomazia. D’altro canto, optando per un discorso meramente matematico, non sfugge quanto un’Europa più grande possa rappresentare agli occhi degli interlocutori esterni un attore politico più serio, dotato di maggior peso negoziale.

Per quanto sulla carta il processo di allargamento possa apparire conveniente, le cose si complicano quando arriva il momento di agire concretamente. In primis, bisogna considerare le conseguenze politiche, sociali, finanziarie dell’ingresso di Stati dotati spesso di sistemi istituzionali storicamente divergenti da quelli del vecchio continente. Da un punto di vista meramente istituzionale, bisogna inoltre considerare l’impatto sulla composizione e l’operatività degli organi comunitari. Ad esempio, come cambierebbe l’assetto dell’Europarlamento? Come distribuire i seggi ai delegati dei “nuovi arrivati”? Quanti scranni assegnare loro rispetto a quelli detenuti dai rappresentanti dei ventisette membri attuali?

Ancor più complesso è il discorso sulla stabilità e la tenuta finanziaria dell’Unione stessa. Infatti, così come per il regime politico-istituzionale, l’integrazione di economie e mercati nazionali sovente alternativi alle attuali logiche di mercato potrebbe comportare costi elevati. Ad esempio, come e dove reperire i fondi da destinare alla stabilizzazione finanziaria dei “nuovi arrivati”? Come fare per evitare l’eccessivo affaticamento del bilancio europeo e il conseguente rischio per la tenuta delle casse comunitarie? Come disinnescare eventuali problemi di concorrenza dovuti alla compresenza di logiche di mercato almeno inizialmente non uniformi per tutti?

Ora sarà forse più facile comprendere per quale motivo la questione dell’allargamento sia rimasta a lungo incompiuta. Eppure, nel corso della riunione di Murcia, gli orientamenti sembrano essersi modificati. Il ministro spagnolo ad interim ha rilevato come in realtà siano molti gli Stati terzi desiderosi di aderire all’Unione. Il commissario Várhelyi ha affermato esplicitamente di voler “mettere sul tavolo tutti gli strumenti per accelerare le adesioni”. Ha precisato, subito dopo, che a suo modo di vedere Bruxelles “deve essere pronta ad ammettere nuovi membri prima del 2030”. Il commissario ha colto l’occasione per annunciare la presentazione, a breve, di un pacchetto di leggi mirate a velocizzare il processo di integrazione.

Sull’argomento vi è da registrare il pieno consenso del presidente del Consiglio europeo. Non più tardi di qualche settimana fa, Charles Michel ha dichiarato che entro i prossimi sette anni la maggior parte dei paesi balcanici potrebbero entrare ufficialmente nell’Unione. “È il momento di essere ambiziosi, di costruire insieme il futuro europeo. L'allargamento non è più un sogno” ha scandito intervenendo a una conferenza internazionale in Slovenia.

Michel ha paventato una “integrazione graduale e progressiva” che conceda alle cancellerie interessate il tempo occorrente ad allineare il proprio ordinamento istituzionale a quello europeo. Il presidente ha chiarito che il processo sarà “meritocratico” nella misura in cui tenderà a premiare i governi maggiormente propensi a conformarsi alla giurisdizione comunitaria.

La particolare attenzione conferita ai Balcani non si spiega unicamente con la loro vicinanza geografica alle frontiere dell’Unione. Dietro vi è, altresì, la volontà politica di contrastare la sempre più insistente influenza esercitata nell’area da Mosca e Pechino. Mentre la Russia di Putin può contare su radici religiose e ideologiche assai simili in Stati come la Serbia, la Cina di Xi Jinping sembra puntare sulla concessione di prestiti che tendono a legare per lungo tempo le cancellerie locali al paese del dragone.

Per quanto riguarda il secondo pilastro emerso nelle discussioni di Murcia, i ministri hanno concordato nel presentare a breve un documento sulla “Autonomia Strategica Aperta” che renda Bruxelles più autonoma nei settori chiave dell’industria e dell’approvvigionamento. “La nostra autonomia strategica ci consentirà di fronteggiare il ricatto di paesi terzi e la crisi globale in modo più solido”, ha puntualizzato Albares.

D’altronde, un’Europa che ambisce a diventare un attore globale di tutto rispetto deve prima assicurarsi di ricorrere il meno possibile all’esterno per la produzione di beni e il rifornimento di energia e materie prime. L’obiettivo, dunque, è non dover più assistere a ricatti causati dall’eccessiva dipendenza nei confronti di un unico rifornitore, come è avvenuto con la Russia.

I passi da compiere sono ancora molti e vanno dal rafforzamento della capacità produttiva dell’industria interna all’abbandono di fonti energetiche in mano a paesi di dubbia democraticità, dal completamento della transizione energetica alla sottoscrizione di accordi commerciali con Stati ricchi di materie prime critiche.

A tal proposito, risulta interessante un rapporto redatto dalla Commissione proprio in vista della riunione ministeriale di Murcia. Stando agli esperti di Bruxelles, è necessario muoversi in tre direzioni. Innanzitutto, va rafforzata “la base industriale e tecnologica del settore europeo della difesa” mediante investimenti nella capacità produttiva interna. In tale direzione ci si è mossi lo scorso mese, quando le imprese specializzate europee sono state potenziate nell’intento di fabbricare un milione di munizioni di artiglieria da fornire entro la fine dell’anno all’esercito ucraino.

All’autonomia della difesa deve unirsi l’autonomia dell’energia. L’obiettivo è duplice: abbattere l’impiego di fonti altamente inquinanti, dannose per l’ambiente e ridurre la dipendenza dal Cremlino. Ad oggi, Bruxelles ha approvato il piano “REPowerEU” e la direttiva sulle energie rinnovabili. Si tratta, in sostanza, di programmi volti a diversificare l’approvvigionamento e velocizzare le procedure di autorizzazione per la costruzione di impianti di energia rinnovabile.

E poi c’è il capitolo delle materie prime critiche di cui il vecchio continente avverte sempre più la mancanza. La domanda di materiali come litio, cobalto o nichel sta crescendo vertiginosamente dal momento che essi sono indispensabili nei processi produttivi ad alta tecnologia. La soluzione, a parere della Commissione, consiste nell’intessere una “rete di accordi commerciali” con paesi terzi affidabili, al fine di dare vita a scambi reciprocamente vantaggiosi.

Merita un’attenzione particolare il “regolamento europeo sui chip” con il quale Bruxelles intende finanziare “le capacità di ricerca, sviluppo e produzione dei semiconduttori in tutta Europa”. Tanto minuscoli quanto preziosi, questi piccolissimi componenti tecnologicamente avanzati sono presenti pressoché in tutti i nostri dispositivi elettronici di uso quotidiano. Anche in tal caso, il conseguimento di una certa dose di autonomia nella produzione è essenziale se l’Europa non vuole finire schiacciata nella contesa tra Washington e Pechino per l’egemonia sulla roccaforte produttiva Taiwan.

Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia

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