Cina. Sull'Ucraina due assunti fondamentali, per Pechino negoziato unica via percorribile

(ASI) «Sulla crisi ucraina, la Cina è sempre stata dalla parte della pace e la sua posizione inamovibile è quella di facilitare i negoziati». A dirlo è stato ieri il presidente cinese Xi Jinping, durante un colloquio telefonico con il leader ucraino Volodymyr Zelensky, al quale ha sottolineato che Pechino «non ha creato la crisi» in atto nel Paese «né è parte in causa», ma ha comunque fin qui inviato numeroso materiale umanitario.  

«In qualità di Paese membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e di potenza responsabile, la Cina non potrebbe starsene a guardare né aggiungere benzina al fuoco e tanto meno sfruttare la situazione per ricavarne vantaggi propri», ha ricordato il capo di Stato cinese al suo interlocutore.

Da oltre un anno, ormai, molti Paesi occidentali chiedono al colosso asiatico di convincere Putin a desistere dal tentativo di annettere la porzione sud-orientale dell'Ucraina, dove l'esercito russo, coadiuvato dalle milizie filo-russe del Donbass e dalla compagnia Wagner, si è ormai stanziato in modo permanente con l'obiettivo di conquistare nuove posizioni o riconquistare quelle temporaneamente perdute.  

Nessuno, tuttavia, sembra voler troppo sottolineare che, al di fuori dell'area NATO, si contano appena sulle dita di due mani i governi che hanno deciso di adottare sanzioni nei confronti di Mosca. Pur condannando formalmente in sede ONU la violazione del principio di sovranità e integrità territoriale dell'Ucraina, infatti, molti Paesi non sono andati oltre. Perfino all'interno dell'Alleanza Atlantica, c'è chi - come Turchia e Ungheria - ha preferito assumere una posizione quanto più neutrale possibile.

Oltre alla Cina, anche l'altro gigante asiatico, l'India, si è fin qui astenuta in tutte le votazioni relative ad atti - pur sempre formali - di condanna della Russia al Palazzo di Vetro. La realtà dei fatti mostra che in un'economia mondiale fortemente integrata ed interconnessa è praticamente impossibile colpire mercati importanti - specie se grandi fornitori di idrocarburi ed altre materie prime - senza subirne gravi conseguenze. Lo sconvolgimento del meccanismo di sicurezza energetico europeo e la forte inflazione, trainata proprio dai rincari energetici, patita da imprese e famiglie nel Vecchio Continente è lì a dimostrarlo.

Xi Jinping ha ricordato a Zelensky che non esiste altra via se non quella del dialogo e del negoziato, e che la Cina ha già pubblicato lo scorso 24 febbraio la sua proposta per una soluzione politica della crisi ucraina. Suddiviso in dodici punti, il piano di pace cinese prende essenzialmente forma dai due assunti fondamentali che hanno sempre contraddistinto il punto di vista ufficiale di Pechino sin dall'avvio delle ostilità.

Da un lato, l'indiscutibile adesione al principio di sovranità e integrità territoriale sancito dalla Carta delle Nazioni Unite; dall'altro, la necessità di implementare il principio di indivisibilità della sicurezza internazionale contenuto nell'Atto finale di Helsinki del 1975, nella Carta CSCE/OCSE di Parigi del 1990 e nell'Atto istitutivo sulle relazioni NATO-Russia del 1997.

Con il primo dei due assunti, ribadito nel primo punto della proposta [Rispettare la sovranità di tutti i Paesi], la Cina tiene a precisare che, pur senza condannarla esplicitamente, disapprova la condotta russa, ma soprattutto che lo stesso principio va rispettato nei propri confronti, a partire dall'annosa questione di Taiwan: territorio insulare che, in base alla Risoluzione ONU 2758 del 1971, fa giuridicamente parte della Repubblica Popolare Cinese e dunque non costituisce uno stato separato ma un territorio interno su cui, prima o poi, dovrà essere ripristinata la piena sovranità e legalità.

Il secondo viene invece enucleato nel secondo punto della proposta [Abbandonare la mentalità da Guerra Fredda]. In questo caso, Pechino fa riferimento ad un principio poco menzionato nei Paesi occidentali ma altrettanto importante. «La sicurezza di un Paese non dovrebbe essere perseguita a spese di altri», recita il documento pubblicato due mesi fa dal Ministero degli Esteri cinese, che prosegue: «La sicurezza di una regione non dovrebbe essere conseguita rafforzando o espandendo blocchi militari. I legittimi interessi e le legittime preoccupazioni in materia di sicurezza di tutti i Paesi dovrebbero essere presi in seria considerazione ed affrontati in modo appropriato».  

Nello specifico del conflitto in atto, tutte le parti - secondo Pechino - dovrebbero contribuire alla costruzione di «un'architettura europea di sicurezza equilibrata, efficace e sostenibile» opponendosi fermamente alla ricerca di un «vantaggio di sicurezza di qualcuno a discapito di qualcun'altro», prevenendo il «confronto tra blocchi» e lavorando insieme «per la pace e la stabilità nel Continente eurasiatico».

Il riferimento, nemmeno troppo velato, è all'intenzione di Kiev di entrare nella NATO: ben più che un'ipotesi astratta o una semplice fantasia di Vladimir Putin. Con l'attivazione del Membership Action Plan nel 2008, l'Ucraina aveva infatti da molto tempo compiuto sostanziali passi in avanti per l'adesione all'Alleanza Atlantica, salvo poi tornare indietro durante il quadriennio di presidenza del federalista Viktor Yanukovich (2010-2014), nativo proprio del Donbass. Dopo il colpo di Stato del febbraio 2014, la nuova leadership liberal-nazionalista ucraina, sostenuta da Washington e Bruxelles, ha nuovamente invertito la rotta.

Nessuno in Cina, come in tanti altri Paesi in via di sviluppo [spesso ex colonie europee, non va dimenticato], sarebbe così ingenuo da non comprendere che quella ucraina, lungi dal carattere universale ["democrazia contro autocrazia"] che certi opinionisti cercano di conferirle, è una causa essenzialmente occidentale. La compattezza decisionale con cui i governi europei, anche sfidando un'opinione pubblica in buona parte contraria, continuano ad armare l'esercito di Kiev al di là dei diversi orientamenti politici delle rispettive maggioranze che li sostengono, evidenziano che dietro gli hashtag ideologici, moralistici od umanitari si nascondo precisi interessi strategici.

Insomma, se la Russia vuole difendere ed espandere il suo spazio di manovra sul Mare d'Azov, e sul Mar Nero in generale, per mettere in sicurezza le proprie catene logistiche, la NATO, con gli Stati Uniti in testa, gioca la carta ucraina - senza dimenticare quella georgiana, sempre in caldo - per cercare di fermarla e danneggiarla quanto più possibile. Un braccio di ferro cui la Cina, così come tanti altri Paesi non occidentali, non ha alcuna intenzione di prendere parte.

Se la mente dei contendenti sembra ancorata al Novecento, lo sguardo di Pechino è proiettato almeno alla metà di questo secolo, quando dovrà essere completato quello che Xi ha più volte definito come il «grande rinnovamento [o ringiovanimento] della nazione cinese», ovvero - nelle intenzioni della leadership - una Cina forte, prospera, avanzata e sostenibile in tutti i suoi aspetti, essenzialmente autosufficiente ma caratterizzata da dinamiche commerciali armoniche con il resto del mondo: da qui il concetto della doppia circolazione, introdotto nell'autunno del 2020.  

Nella telefonata di ieri, Xi ha spiegato che «la volontà della Cina di sviluppare relazioni con l'Ucraina è coerente e chiara», indipendentemente dai mutamenti della situazione internazionale. Entrambe le parti, secondo il presidente cinese, dovrebbero concentrarsi sul futuro ed approntare piani per le relazioni bilaterali in una prospettiva di lungo periodo sulla base del partenariato strategico costruito nel corso degli ultimi trentuno anni.

Da parte sua, Zelensky non ha mai messo in dubbio, almeno pubblicamente, la sincerità e la neutralità cinese, come invece hanno fatto diversi leader occidentali, a partire da Joe Biden e dal suo segretario di Stato Anthony Blinken. Il presidente ucraino ha ringraziato Xi Jinping per l'assistenza umanitaria ricevuta e riconosciuto l'importante ruolo del gigante asiatico nella ricerca della pace e di soluzioni diplomatiche alla crisi.

Dal punto di vista di Pechino, insomma, la situazione sul campo è in un sostanziale stallo, da cui sarà possibile uscire soltanto con un grande accordo di pace che tenga conto di tutti gli interessi in ballo, ma l'Occidente - che fin qui è stato a tutti gli effetti parte cobelligerante - non è nelle condizioni di dare ordini né di imporre la sua agenda alla Cina. Questa è la grande novità del nostro tempo e dobbiamo tenerne conto.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

 

 
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