(ASI) Bruxelles – Due fra i nodi più scottanti hanno animato il Consiglio Affari Esteri, il vertice dei ministri degli Esteri degli Stati membri Ue. A presiedere la riunione, l'Alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza Josep Borrell.
La discussione è stata preceduta dall’intervento in videoconferenza del collega ucraino Dmytro Kuleba. Il rappresentante del governo di Kyiv ha subito focalizzato l’attenzione dei colleghi sugli sviluppi dell’offensiva russa. Il ministro ha sollecitato gli ascoltatori a compiere “passi coraggiosi, decisivi, audaci”, nell’intento di ottenere la sconfitta delle forze di Vladimir Putin entro l’anno corrente. Obiettivo ritenuto da Kuleba verosimile, ma a patto che Bruxelles intensifichi il proprio contributo. Il richiamo è all’incremento degli aiuti militari e all’inasprimento delle sanzioni ai danni di Mosca, assieme alla velocizzazione delle pratiche per l’adesione all’Unione europea.
I ministri hanno replicato ribadendo il “pieno sostegno all'indipendenza, alla sovranità e all'integrità territoriale dell'Ucraina entro i confini riconosciuti a livello internazionale” nonché l’appoggio al “diritto naturale di autotutela” dinanzi l'aggressione subita. L’Alto rappresentante Borrell ha poi annunciato il raggiungimento di un accordo politico fra gli Stati membri per l’erogazione del settimo pacchetto di aiuti militari del valore di 545 milioni di euro. Finora le istituzioni comunitarie hanno destinato al settore una somma totale di 3.6 miliardi, ripartiti in diversi programmi di assistenza.
Sul campo è attiva dallo scorso novembre la missione operativa “EUAM Ukraine”, impegnata ad assicurare a 15.000 soldati locali una formazione specializzata nel contrastare le scorribande nemiche e proteggere la popolazione civile. L’assistenza europea si traduce, inoltre, nel costante approvvigionamento di munizioni ed equipaggiamento militare e nella manutenzione e riparazione del materiale fornito per l’addestramento. Rientrano fra gli ambiti di intervento anche l’invio di strumenti per lo sminamento dei terreni, così come la costruzione di ospedali da campo e la distribuzione di attrezzature mediche.
Con riferimento al prosieguo del conflitto, il Consiglio si è espresso sulla necessità di stabilire al più presto un “meccanismo di accertamento delle responsabilità”. I ministri hanno recepito la recente risoluzione dell’Europarlamento sull’istituzione di un tribunale speciale ad hoc contro i crimini di guerra russi. Secondo gli eurodeputati la corte, composta da giudici imparziali e selezionati a livello internazionale con la massima trasparenza, dovrebbe possedere poteri ben delineati e circoscritti nell’indagare sulla condotta dell’esercito moscovita in Ucraina.
Il comunicato stampa ufficiale diffuso dal Consiglio al termine della discussione non fa menzione né della procedura di adesione di Kyiv all’Ue né dell’inasprimento delle restrizioni a carico del Cremlino. Sulla prima questione pesa l’eccessivo disallineamento dell’ordinamento giuridico ucraino rispetto a quello vigente in Europa. Le norme anticorruzione nei vari settori della società, ad esempio, sono ancora piuttosto blande se non addirittura inesistenti in alcuni casi. Per di più, la nuova legge sui media ha esteso in maniera massiccia il controllo del governo sui mezzi di informazione, scatenando la dura protesta della Federazione internazionale dei giornalisti contro una vera e propria “minaccia alla libertà di stampa”. In relazione al secondo tema, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel non ha escluso l’adozione di ulteriori sanzioni. Tuttavia, gli Stati membri maggiormente dipendenti dalle fonti energetiche russe – l’Ungheria di Viktor Orbán in primis – hanno già promesso battaglia pur di tutelare i propri interessi nazionali.
Eppure, se da un lato alle porte d’Europa la situazione continua a rimanere drammatica, dall’altro non è possibile chiudere gli occhi di fronte ai turbolenti avvenimenti in Medio Oriente. In Iran, il regime teocratico della Guida suprema Ali Khamenei soffoca da mesi nel sangue le contestazioni pacifiche frutto dell’uccisione da parte della “polizia morale” della giovane Mahsa Amini, colpevole di non aver indossato correttamente il velo. Donne e uomini scesi in piazza per reclamare democrazia e libertà vengono imprigionati arbitrariamente, costretti a confessare sotto tortura reati mai commessi, processati in assenza di un legale, condannati a morte.
Il Consiglio Affari Esteri ha deplorato il “diffuso e sproporzionato ricorso alla forza nei confronti dei manifestanti” quale arma crudele per silenziare il dissenso. Ha esortato le autorità cessare la “violenta repressione”, porre fine alle detenzioni arbitrarie, rilasciare tutte le persone imprigionate in seguito a processi farsa, annullare al più presto le condanne alla pena capitale e le esecuzioni programmate.
In linea con una risoluzione dell’Europarlamento, il consesso di Bruxelles ha deliberato l’estensione delle sanzioni in materia di diritti umani ai danni di Teheran. L’attuale lista nera delle restrizioni dell’Ue, in conseguenza, comprende ora ben 164 persone e 31 entità legate al regime dell’ayatollah Khamenei e al gabinetto del presidente Ebrahim Raisi. Rappresentanti del governo e del Parlamento – tra cui persino i ministri dell’Interno e dell’informazione e comunicazione – esponenti di partiti politici, figure appartenenti al mondo dei media, alti funzionari delle forze di sicurezza non potranno più entrare in Europa o ricevere fondi o risorse economiche. I beni in loro possesso, inoltre, saranno congelati a livello comunitario.
A preoccupare l’Unione vi è pure il sistematico oscuramento di Internet a opera delle autorità iraniane, nell’intento di impedire ai cittadini di accedere a fonti di informazione indipendenti e organizzare manifestazioni di protesta. Il Consiglio, quindi, ha confermato il divieto di esportare verso il paese “attrezzature che potrebbero essere impiegate per la repressione interna” e “attrezzature per la sorveglianza delle telecomunicazioni”.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia