(ASI) Mosca – Russia e Cina intensificheranno la cooperazione strategica aprendo la strada a nuove opportunità di investimento reciproche. Dalle materie prime al nucleare fino alle infrastrutture necessarie ad aumentare il volume degli scambi, le due potenze si dicono pronte ad avvicinarsi sempre più. A unirle, l’intenzione di sottrarre all’Occidente e alle sue istituzioni l’egemonia nella guida dell’ordine globale.
È quanto emerge dal quarto Forum commerciale russo-cinese sull’energia tenutosi lo scorso 29 novembre. L’evento - organizzato sin dal 2018 dalle principali compagnie petrolifere dei due paesi - si propone di allargare la collaborazione vicendevole, esplorare innovative aree di investimento e attuare progetti attinenti alla sfera energetica. Vi hanno presenziato numerose personalità di spicco della classe dirigente di Pechino come il vice Primo ministro, il capo dell'amministrazione statale per l'energia, il presidente del consiglio di amministrazione della potente China National Petroleum Corporation. Non sono mancate eminenti figure legate al Cremlino quali il vicepremier, i ministri dell’energia e delle risorse naturali, l’amministratore delegato della compagnia petrolifera statale Rosneft. A completare il quadro, una folta rappresentanza di funzionari governativi coadiuvati dai dirigenti di oltre 100 grandi aziende russe e cinesi.
Nel bel mezzo della guerra in Ucraina, Mosca e Pechino schierano sul complesso scacchiere diplomatico le loro pedine migliori con l’obiettivo di finalizzare trattative commerciali reciprocamente vantaggiose. Il risultato è la sottoscrizione, a margine del Forum, del cosiddetto “Atlante degli investimenti”. Si tratta di un ambizioso documento programmatico frutto delle interlocuzioni fra più di 300 agenti delle maggiori industrie di petrolio, gas, energia elettrica, carbone, nucleare ed energie rinnovabili, capi delle autorità esecutive federali, produttori di apparecchiature tecniche e delegati dei settori finanziario e informatico. L’Atlante prevede la concretizzazione di corposi contratti per la fornitura di energia, lo sviluppo tecnologico, la ricerca scientifica congiunta, l'approvvigionamento di beni, opere e servizi.
In ballo c’è anche la piena implementazione di infrastrutture cruciali con cui Mosca punta ad accorciare le distanze, accrescere gli scambi, consolidare la propria presenza sul suolo della Repubblica popolare. Solo due settimane fa, in merito, è stato inaugurato il primo ponte ferroviario sul fiume Amur, prezioso collegamento fra la Siberia russa e la Manciuria cinese. L’opera ridurrà di oltre 700 chilometri la distanza di trasporto verso le province settentrionali della Cina. Potranno transitarvi ben 20 milioni di tonnellate di merci all'anno. Un ruolo centrale nelle trattative è riservato, inoltre, allo sviluppo e all’esportazione della tecnologia nucleare russa. A tal riguardo, nel distretto di Tianwan è già in funzione un’imponente centrale dotata di quattro unità di potenza di ultima generazione. Secondo l’Atlante degli investimenti, negli anni a venire i russi modernizzeranno ulteriormente il sito edificandovi altre due unità. Stesso discorso per la centrale di Xudapu, dove alle due unità al momento operative se ne aggiungeranno presto altrettante.
A ben vedere, sono assai floride le prospettive di arricchimento per i due Stati. La Cina, infatti, è il primo partner commerciale della Russia, con un fatturato che nei primi dieci mesi del 2022 ha sfiorato i 154 miliardi di dollari. Un incremento del 33% sull’anno precedente. Fra gennaio e ottobre Mosca ha esportato in direzione di Pechino quasi 72 milioni di tonnellate di petrolio, registrando un aumento del 9,5% rispetto al 2021. Per quanto riguarda il gas, l’esecutivo di Vladimir Putin è in grado di soddisfare il 27% del fabbisogno della nazione retta da Xi Jinping. Allo stesso modo, nell’anno corrente la Russia ha coperto il 23% delle importazioni complessive di carbone nella terra del Dragone.
Prospettive lusinghiere, foriere di considerevoli margini di beneficio. Prospettive che sia Putin sia Xi sono decisi a cogliere appieno, in un’epoca in cui l’ordine internazionale appare turbato da profonde scosse di assestamento. E proprio il radicale irrigidimento delle relazioni Est-Ovest innescato dallo scoppio del conflitto ucraino è stato il grande tema di dibattito del Forum.
Per tutta risposta alle sanzioni europee e ai provvedimenti restrittivi varati dalle istituzioni occidentali, il Cremlino ha proposto alla controparte cinese l’adozione delle rispettive valute nazionali durante lo scambio di risorse energetiche e le operazioni finanziarie. A parere del vicepresidente russo Alexander Valentinovich Novak, impiegare i rubli e lo yuan “preverrà i rischi e faciliterà la trasformazione delle valute nazionali nello status di valute di riserva mondiali”. Si tratta, cioè, di abbandonare il dollaro americano e conferire maggiore valore al denaro stampato dalle proprie banche centrali. Una tattica, questa, già adottata dalla Russia pochi mesi fa, quando Rosneft ha emesso obbligazioni in yuan per un valore record di 15 miliardi. Novak, inoltre, ha posto l’accento sulla necessità di costituire un sistema di regolamento alternativo a quello attualmente in uso. Una mossa fondamentale per Mosca dopo la sua estromissione dallo SWIFT, il meccanismo sfruttato dagli istituti bancari aderenti per scambiare pagamenti a livello internazionale.
Fra energia, materie prime, infrastrutture e affari il guanto di sfida all’Occidente è stato gettato. Intervenendo in persona al Forum, Putin ha elogiato l’evento come “una piattaforma unica nel suo genere” e ha soggiunto: “Nonostante la difficile congiuntura internazionale il partenariato e l'interazione strategica tra la Federazione russa e la Repubblica popolare cinese continuano a svilupparsi costantemente”. Una dichiarazione cui fa eco il discorso di Xi riportato in un comunicato ufficiale di Rosneft: “Di fronte ai rischi e alle sfide esterne la Russia e la Cina stanno intensificando l'interazione e il coordinamento, promuovendo importanti progetti di cooperazione, dimostrando l'elevata sostenibilità della cooperazione energetica russo-cinese”.
Difficile dire se e quanto sarà duraturo l’avvicinamento fra i due paesi. Senza dubbio, l’atteggiamento concreto del Cremlino e i sostanziosi affari prospettati risultano graditi a una Cina che da sempre basa la sua politica estera su un’estrema pragmaticità. Le fitte interconnessioni esistenti con Mosca spiegano, del resto, il contegno piuttosto equidistante e pacato ostentato dal Dragone nei confronti della guerra in Ucraina, con buona pace dell’interventismo delle cancellerie occidentali.
A influire c’è anche l’aspetto ideologico. Sebbene con motivazioni e modalità assai differenti, di fatto pure il paese del Dragone è stato colpito da discriminazioni di natura commerciale in Occidente. Il caso del blocco americano ai danni del colosso dell’elettronica Huawei ne è un esempio eclatante. “La Cina, come la Russia, è sempre stata contraria alle sanzioni unilaterali e alle pressioni economiche che si trasformano in promozione egoistica dei propri interessi personali” ha affermato nel suo intervento al Forum il capo di Rosneft. Igor Sechin ha aggiunto con tono polemico: “Lo scopo è bloccare lo sviluppo tecnologico della Cina e impedirle di diventare la prima potenza tecnologica”. L’oligarca ha poi platealmente preso le difese di Pechino: “La Cina sta lavorando per unire l'umanità, l'Occidente si adopera per dividerla”.
Dietro tali affermazioni pesanti si cela il desiderio di attirare nella sfera d’influenza moscovita la nazione che potrebbe un giorno divenire un alleato a tutti gli effetti. Così si spiega la chiara rivendicazione delle trattative commerciali e finanziarie in atto: “La portata senza precedenti delle nostre relazioni con la Cina è il risultato del nostro sviluppo interno e della consapevolezza dei processi in corso nel mondo, e non una conseguenza delle pressioni esercitate dall'Occidente”. Così si spiega, poi, la dura delegittimazione di coloro che Sechin definisce oppositori: “I profondi cambiamenti nell'economia globale sono causati dal doloroso processo di liberazione dall'attuale egemonia unipolare. Gli oppositori occidentali non possono o non vogliono rendersene conto”.
La vera guerra di Putin e degli oligarchi fedeli non si combatte a Kyiv. Si svolge a chilometri e chilometri di distanza, sul terreno di allettanti trattative finanziarie e commerciali. Nel mirino, la finora indiscussa preminenza occidentale nella definizione degli equilibri di potenza internazionali.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia