(ASI) "Dal 1 aprile, data lancio dell'operazione EU EUNAVFOR MED IRINI, le sole navi in pattugliamento davanti alla Libia sono quelle turche, le navi europee sono ancora in porto.
Per il momento si parla di sole tre navi offerte dai Paesi europei. Se non se ne aggiungessero altre, il “blocco navale” sarebbe assai permeabile, di fatto una missione di facciata, soprattutto se non venisse dotata di regole d’ingaggio molto robuste, poco probabile". Ad esprimere dubbi sull'operazione che di fatto sostituisce la missione Sophia nel Mediterraneo è l'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di stato maggiore della Marina Militare dal 2013 al 2016.
In un'editoriale pubblicato sul quotidiano Avvenire, De Giorgi sostiene che "la nuova operazione eredita purtroppo anche alcuni dei vincoli di Sophia. Il gruppo navale EU non potrà infatti operare all’interno delle acque territoriali libiche, nel suo spazio aereo o sulla terraferma, a meno di non ricevere un invito esplicito del Governo libico. Ciò comporta che il traffico di armi diretto in Cirenaica attraverso il confine terrestre con l’Egitto e quello marittimo entro le 12 miglia dalla costa, potrà continuare praticamente indisturbato".
Per quanto riguarda la scelta del Comandante in mare, spiega l'ex Capo di Stato Maggiore della Marina Italiana, "anche ammesso che l’Italia ottenga di mantenere il comando in mare, non è detto che sia conveniente/sostenibile politicamente per il Governo Italiano. Il blocco navale contro l’importazione illegale di armi in Libia sarebbe nei fatti essenzialmente in chiave anti-turca e a scapito della capacità di resistenza del Governo di Accordo Nazionale sostenuto dall’ONU e almeno formalmente dall’Italia. Saremmo fra l’incudine e il martello, alla guida di una missione che nasce debole sotto il profilo politico, prima ancora che militare".
"In ogni caso - conclude De Giorgi - e da qualunque angolo si osservi la nuova missione europea, le premesse, i vincoli operativi e il ridotto numero di mezzi sono la fotografia delle divisioni fra le politiche estere e più in generale degli interessi conflittuali degli Stati Europei. IRINI potrebbe essere così l’ennesima occasione persa per la credibilità dell’Europa come attore rilevante sullo scacchiere internazionale".