Cina. Retrospettiva sul quarto plenum: sviluppo e capacità di governance sullo sfondo della stabilità

138518832 15725299951511n(ASI) A meno di un mese dalla sua conclusione, la Quarta Sessione Plenaria del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese ha fornito spunti interessanti per capire dove sta andando il Paese asiatico e quali sono le sue principali linee-guida in materia di politica economica e di governance. Il vertice, che si è svolto a due anni dal 19° Congresso del PCC, ha ascoltato e discusso un rapporto di lavoro elaborato dal presidente Xi Jinping.

Il plenum ha così revisionato e adottato la decisione del Comitato Centrale sulle due principali questioni emerse: il rafforzamento e il miglioramento del sistema del socialismo con caratteristiche cinesi, da un lato, e l'avanzamento del processo di modernizzazione del sistema e della capacità di governance del Paese, dall'altro. Ampiamente discussi sin dall'avvio del primo mandato presidenziale di Xi Jinping, questi temi hanno lungamente catalizzato il dibattito politico interno, caratterizzando confronti e discussioni non soltanto nell'ambito di organismi istituzionali come il Comitato Centrale (ivi inclusi l'Ufficio Politico ed il suo Comitato Permanente), l'Assemblea Nazionale del Popolo o la Conferenza Politico-Consultiva del Popolo ma anche in seno alla società civile, ai tanti think-tank sparsi nel Paese e agli istituti accademici.

Stando al comunicato diffuso al termine della quarta sessione plenaria, infatti, il sistema del socialismo con caratteristiche cinesi viene definito nei termini di «un sistema scientifico sviluppato dal Partito e dal popolo attraverso le loro esperienze di lungo termine e le loro ricerche». Partendo dal lavoro svolto nel quadro della terza sessione plenaria (Febbraio 2018), il sistema del socialismo con caratteristiche cinesi e il sistema di governance cinese mantengono «forte vitalità ed enorme solidità», sono «capaci di promuovere il costante progresso di un Paese con circa 1,4 miliardi di abitanti e garantiscono la realizzazione degli obiettivi dei Due Centenari verso il rinnovamento della nazione cinese, forte di una civiltà di oltre 5000 anni».

I Due Centenari fanno riferimento alle grandi scadenze indicate dalla leadership del Paese asiatico: quella, ormai prossima, del 2021, quando sarà celebrato il secolo di vita del Partito Comunista Cinese; e l'altra, più lontana (ma non troppo nelle menti dei dirigenti) del 2049, quando a festeggiare i suoi primi cento anni sarà la Repubblica Popolare.

Nel primo caso, il Paese dovrà aver raggiunto lo xiǎokāng, ovvero la "moderata prosperità", un obiettivo fissato sul finire degli anni Settanta da Deng Xiaoping. Si tratta di un concetto derivato dal pensiero confuciano, che sta ad indicare l'emersione di una folta classe media (ed un coefficiente Engel pari al 40-50% in termini di elasticità della domanda al reddito). Già oggi, quella cinese è la più grande classe media al mondo con circa 420 milioni di consumatori ma, secondo una recente stima di McKinsey, potrebbe raggiungere quota 550 milioni entro i prossimi tre anni. Più in generale - dati Banca Mondiale alla mano - dal 1978 al 2016 più di 850 milioni di cinesi sono usciti da una condizione di povertà, che attualmente - in termini estremi - riguarda meno dello 0,7% della popolazione.

Nel secondo caso, la Cina dovrà invece aver raggiunto il suo più grande traguardo, diventando un «grande Paese socialista moderno che sia prospero, forte, democratico, culturalmente avanzato, armonioso e meraviglioso». Entro la metà del secolo, insomma, la Cina dovrà affermarsi come leader globale nell'innovazione, nello sviluppo sostenibile, nella capacità di mantenere elevati gli standard di qualità della vita e di attrarre giovani e capitali da tutto il pianeta. Il percorso è cominciato con l'aggiornamento della politica di riforma e apertura inaugurato da Xi Jinping, in occasione del 19° Congresso del PCC, attraverso il concetto di Nuova Era. Come di consueto nella teoria politica cinese, partendo dalla sfera economica questa nuova idea di apertura dovrebbe poi gradualmente investire tutti gli ambiti della società.

La costruzione della democrazia è uno dei temi più discussi e importanti in Cina. Come ribadito più volte dai suoi dirigenti, il Paese non potrà mai mutuare un modello politico occidentale. Del resto, questo non è mai avvenuto in tutta la sua storia, nemmeno a seguito della Rivoluzione Xinhai guidata dal padre della patria Sun Yat-sen, fondatore del Kuomintang, che pure si era convertito in giovane età al Cristianesimo, formandosi poi tra Giappone, Europa, Stati Uniti e Canada.

Oggi, l'Assemblea Nazionale del Popolo, massimo organismo legislativo del Paese, è già elettiva sebbene nel quadro di un complesso sistema che prevede quattro livelli di consultazione, assolutamente necessario per "comprimere" la rappresentanza di 1,4 miliardi di persone in appena 2.980 seggi parlamentari, dove siedono gli eletti di nove partiti. Oltre al Partito Comunista, quello maggiormente rappresentato, ci sono infatti il Comitato Rivoluzionario del Kuomintang Cinese, la Lega Democratica Cinese, l'Associazione Cinese per la Costruzione Nazionale Democratica, l'Associazione Cinese per la Costruzione della Democrazia, l'Associazione Cinese per la Promozione della Democrazia, il Partito Democratico degli Operai e de Contadini Cinesi, il Partito dell'Interesse Pubblico (Zhi Gong), la Società Accademica 9-3 (Jiusan) e la Lega Democratica di Autogoverno di Taiwan.

Queste otto forze politiche, spesso accusate all'estero di mero presenzialismo e totale accondiscendenza alle politiche del governo, sono in realtà tutte nate prima del 1949 e costituiscono un variegato fronte di posizioni socialdemocratiche, socialiste, nazionaliste o federaliste che contribuiscono al dibattito parlamentare, fornendo proposte o introducendo nuovi spunti di discussione. Ci sono poi i deputati indipendenti, ad oggi ben 470, che esprimono la voce della società civile, delle professioni e del terzo settore.  

L'idea, sottolineata lo scorso Ottobre dalla quarta sessione plenaria, di «promuovere la democrazia popolare, mantenere stretti rapporti con la gente ed affidarsi alle persone per spingere lo sviluppo del Paese» assume dunque un significato del tutto peculiare, che non può essere analizzato ricorrendo ai parametri delle democrazie liberali occidentali. Il compito di assicurare una «governance fondata sulla legge in tutti gli ambiti» è infatti affidato allo «stato di diritto socialista», da tempo in costruzione dopo l'era del cosiddetto "nichilismo giuridico" tra gli anni Sessanta e Settanta.

Si tratta evidentemente di un sistema politico molto diverso dai nostri, che mette al primo posto l'esigenza della stabilità politica e sociale in un Paese di dimensioni subcontinentali, profondamente complesso e poliedrico che, malgrado gli indiscussi successi raggiunti e la centralità politico-economica riconquistata su scala internazionale, resta ancora un'economia in via di sviluppo. Non a caso, dai lavori conclusivi della quarta sessione è emersa anzitutto la necessità di «sostenere la leadership centralizzata ed unificata del Partito Comunista Cinese, seguendo le teorie scientifiche, conservando la stabilità politica e garantendo che il Paese mantenga il suo cammino nella direzione del socialismo».

Promuovere uno «sviluppo centrato sulle persone» e «migliorare costantemente le condizioni di vita e il benessere della popolazione» diventano dunque passaggi necessari per «raggiungere la prosperità comune». Mentre per «proseguire le riforme e l'innovazione e promuovere l'auto-miglioramento e lo sviluppo verso una società piena di vitalità» è fondamentale «selezionare i funzionari sulla base dell'integrità, della capacità e del merito al di là delle loro condizioni di origine».

L'armonia sociale riguarda tuttavia anche le usanze, le religioni e i costumi locali. La Cina non è solo la casa degli Han, che pure costituiscono il 92% della popolazione nazionale, ma anche di 55 minoranze autoctone. Rafforzare «l'uguaglianza tra tutti i gruppi etnici, creando un forte senso di comunità nazionale per lavorare insieme alla prosperità e allo sviluppo comuni» è così un intento essenziale per garantire l'unità del Paese. In questo senso, la quarta sessione ha dedicato spazio anche alle due regioni amministrative speciali, cioè Hong Kong e Macao.

Proprio ieri, i cittadini dell'ex colonia britannica hanno avuto modo di esprimersi in occasinone delle elezioni distrettuali premiando - in quello che è diventato un vero e proprio barometro dell'opinione pubblica locale - i candidati del campo "pro-democrazia" (centrosinistra) con circa il 57% dei voti totali ed il 90% dei seggi cittadini, evidenziando da un lato lo spostamento elettorale di una parte della cosiddetta maggioranza silenziosa, probabilmente delusa dall'incertezza dell'establishment, rappresentato dal campo "pro-Pechino" (centrodestra), e dall'altro una maggiore partecipazione giovanile sull'onda emotiva delle proteste di questi mesi.

Del resto, la quarta sessione aveva già ribadito la necessità di rafforzare il principio 'Un Paese, due sistemi' che caratterizza Hong Kong e Macao sin dal loro ritorno alla Cina, rispettivamente nel 1997 e nel 1999, garantendo loro marcata autonomia legislativa, giudiziaria, amministrativa ed economica. Sarà ora priorità del governo locale di Carrie Lam e, indirettamente, di quello centrale di Pechino, ascoltare con attenzione le richieste provenienti dalla metropoli per rimediare a ciò che è stato percepito come sbagliato, ingiusto o inopportuno in un territorio comunque globalmente molto ricco e avanzato. Per il resto, come ha già precisato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, non cambierà nulla: «Hong Kong resta parte integrante della Cina e qualsiasi tentativo di minare la sua prosperità e la sua stabilità è destinato a fallire».

Anche nel resto del Paese la sfida della stabilità diventa cruciale per gli equilibri globali. L'ormai piena integrazione della Cina nel sistema multilaterale del commercio, i sempre più vasti flussi di merci e capitali che le economie di tutto il mondo direzionano ogni giorno sul vasto mercato cinese, il contributo del Paese asiatico allo sviluppo multilaterale e al sostegno ai Paesi in difficoltà e persino gli stessi canali transfrontalieri di investimento finanziario (stock-connect) attivati rispettivamente tra le borse di Shanghai e Shenzhen e quella di Hong Kong, pongono di fatto qualunque tentativo di destabilizzare una qualsiasi regione cinese sullo stesso piano di un tentativo di destabilizzare il pianeta intero. Prima Washington e Bruxelles lo capiranno, meglio sarà.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

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