(ASI) E alla fine l’ha spuntata ancora lui, Vladimir Putin, lo zar “avvelenatore” di spie. Con una percentuale che pare attestarsi attorno al 73%, numeri che farebbero impallidire anche gli ex leader delle repubbliche popolari socialiste,
Putin per la quarta volta viene eletto presidente, con un mandato che lo vedrà per altri sei anni alla guida del paese. E tramite il portavoce della campagna elettorale di Putin, si ringrazia Teresa May perché, ancora una volta, proprio la politica occidentale anti-Putin ha fatto guadagnare al presidente diversi punti percentuali nel conteggio finale. Ancora una volta, scagliarsi contro un uomo così potente come l’inquilino del Cremlino, risulta nuocere solo ai suoi avversari i quali, probabilmente, non hanno compreso come funziona il consenso in Russia. Anzi, molti non lo hanno mai capito, ed ecco perché la patria di Pietro il Grande continua a essere, a distanza di circa ottant’anni dalla celebre frase di Churchill a Neville Chamberlain, “un rebus avvolto in un mistero che sta dentro un enigma”. A concorrere all’ambita e prestigiosa poltrona del Cremlino sono stati sette uomini e una donna. Le candidature di Pavel Grudinin e di Ksenija Sobcjak sono state quelle più inaspettate. Infatti, il volto noto del Partito comunista delle precedenti tornate è sempre stato Gennadij Žuganov che stavolta ha lasciato il posto al “re delle fragole”, Grudinin, così soprannominato poiché tra le sue aziende il principale prodotto agricolo sono per l’appunto le fragole. Sobcjak, cognome famoso in Russia, è l’unica donna, conduttrice televisiva, quasi una comparsa “inopportuna” nell’ambiente politico russo, dove il potere parla al maschile. Accanto a loro, nomi che risuonano abbastanza familiari e che accompagnano le campagne elettorali dello “zar” Putin a mo’ di un simpatico carosello, Vadimir Žirinovskij, il nazionalista leader del Partito liberaldemocratico ricandidato per la sesta volta, e il liberale Grigorij Javlinskij, alla sua terza presenza alla competizione e capo di Jabloko, il Partito democratico unificato russo. Nelle fila dei nostalgici corre anche Maksim Surajkin, per i Comunisti di Russia. Chiudono la sfilata Boris Titov il portavoce degli imprenditori, e l’accademico e giurista politico russo Sergej Bubarin del partito nazionalista. L’unico candidato indipendente era proprio lui, Vladimir Putin, il vincitore assoluto seguito a distanza siderale dal comunista Grudinin che, visti i tempi, prende un lodevole 15%. Complice la guerra in Siria, complice la campagna di accanimento contro la Russia messa in piedi dai nazionalsciovinisti ucraini in questi anni, complice anche l’inasprimento dei rapporti con gli Stati Uniti e la guerra in Siria, Putin incassa un consenso interno che nessun leader mondiale di uno Stato democratico moderno può vantare. Putin però è al suo ultimo, forse, mandato e al di là del fatto che sei anni sono lunghi, il problema che dovrà risolvere in questi anni sarà quello di trovare colui che potrà sostituirlo alla guida del paese. Un problema non facile per uno che ha puntato sul carisma politico e sulla priorità dell’agenda politica che pone “la Russia al primo posto”, sempre. Allora, e solo allora capiremo come mai il consenso dell’ex kgbista sia cresciuto nel tempo e abbia avuto come effetto una sorta di restaurazione del “culto della personalità” di cui gode il neo confermato presidente. Il suo successo non stupisce tanto i russi quanto la comunità internazionale che non comprende il successo riportato in politica interna da Putin e l’appoggio che egli riceve dai grandi gruppi industriali e dai magnati delle finanze con cui egli, agli inizi della sua carriera presidenziale, nel 2000, ha stretto un vero patto di convivenza pacifica con la formula della non ingerenza. E se nell’arco dei suoi tre mandati, pesanti accuse di essere stato il mandante delle esecuzioni dei giornalisti morti poiché lo mettevano sotto accusa e ne denunciavano la condotta fuori dalle regole, oggi egli appare come l’unico capace di mantenere la Russia su un piedistallo dal quale difficile sarà tirare giù l’orgoglio del popolo russo, il vero amico del regista Putin.
Francesco Randazzo per Agenzia Stampa Italia