(ASI) Roma- Il 4 febbraio sarà il giorno della visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan a Roma. In agenda gli incontri con Paolo Gentiloni, Sergio Mattarella e Papa Francesco. Arriverà in serata a Fiumicino per trattenersi appena 24 ore, ma la partita strategica in gioco sarà per l’Italia un ottimo banco di prova.
Da 59 anni un leader turco (e islamico) non visitava il Vaticano. Nello stesso momento oltre 3mila agenti sono stati dispiegati per garantire la sicurezza. L’autoritarismo del “Sultano” e i suoi metodi duri contro l’opposizione, i giornalisti stranieri e i cittadini hanno portato sulle strade italiane diversi sit-in e manifestazioni di protesta. Alcuni per il mancato rilascio del presidente di Amnesty International in Turchia Taner Kiliç. Altri organizzati direttamente da Kurdistan Italia, previste lunedì mattina presso i giardini di Castel Sant’Angelo, a circa un chilometro dalla Basilica di San Pietro.
Ma se da una parte i sospetti verso il leader turco ricadono sul suo mancato rispetto dei diritti umani e sulla nuova offensiva nei confronti dei soldati Curdi che hanno combattuto l’Isis in prima linea nel nord della Siria, per l’Italia la Turchia resta un alleato scomodo, ma necessario in questa fase storica. La Turchia non è quell’oasi moderata in cui si credeva nel 2001, quando nacque l’Akp, il partito di Erdogan per la giustizia e lo sviluppo. Lo stesso colpo di Stato nel luglio 2016 appare oggi sempre più una messa in scena, il pretesto migliore per liberarsi dello storico oppositore Fethullah Gülen e per inasprire pene e leggi nei confronti dei dissidenti nazionali e stranieri.
L’altra faccia della medaglia è però il ruolo strategico ricoperto dalla Turchia nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Come da sempre nella storia, l’Anatolia resta la porta di accesso al complesso scacchiere islamico e uno dei protagonisti nella crisi migratoria che travolge l’Italia e l’Unione europea, come Gheddafi lo fu nei decenni passati. Nemico dell’Isis e alleato di Iran e Russia, Erdogan in un momento di assenteismo degli Stati Uniti è l’unica pedina disponibile, non la migliore ma la più adatta per consolidare una nuova alleanza.
La Libia resta divisa in due. Roma sostiene il governo di Tripoli, tenuto da Al Serraj, mentre Russia e Francia sono con il generale Kalifa Haftar. L’Iran era un ottimo alleato, fino a quando il presidente Usa Donald Trump non ha congelato definitivamente i rapporti tra la repubblica sciita e l’Occidente, minacciando la dissoluzione dell’accordo sul nucleare. L’Egitto non ha buoni precedenti, con il governo Al Sisi che si è indirettamente (o direttamente) macchiato della morte del ricercatore Giulio Regeni, una tragedia che invece Al Cairo definiscono tattica, una congiura contro la relazione fra i due Paesi.
Se tutti gli altri rapporti si sono deteriorati, non resta che Erdogan, fra le ambiguità e i difetti di un Paese in continuo subbuglio. Non sono ancora chiare le cause di un’esplosione che ha investito il centro di Ankara, prima per una presunta fuga di gas, poi è arrivato l’accertamento della presenza di una bomba. Per ora solo otto sospettati sono stati fermati dalla polizia turca.
In sintesi, l’Italia deve accontentarsi di quel che offre la cornice internazionale, senza rinunciare ai vantaggi economici, ma ribadendo l’importanza dei diritti civili e umani. Compito non facile di una via obbligata.
Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia