(ASI) Beirut- Il cedro della discordia. Come tanti che ne crescono in Libano, ora è proprio il piccolo Paese mediorientale a sollevare un nuovo polverone di guerra. Ma più che responsabile ne sarà probabilmente vittima, nel prossimo futuro come in passato, nel 1982 e nel 2006.
Le dimissioni- Il 4 novembre Saad Hariri, capo del governo libanese, ha rassegnato le dimissioni durante una visita di Stato a Riad. La decisione che sembrava un giallo in un primo momento, diventa logica se si torna indietro di qualche settimana, quando Hariri accusava l’Iran di ingerenza nei confronti di Beirut, uno Stato sciita presente in Libano grazie al braccio armato di Hezbollah, un movimento politico, militare e umanitario che partecipa attivamente alla vita pubblica del Paese. Hezbollah è sciita come la repubblica islamica, mentre a Beirut convivono diverse anime dell’Islam, da quelle più moderate alle frange più estreme. I sunniti libanesi, insieme ai cristiani maroniti, sono gli altri gruppi religiosi che tengono da anni insieme un Paese fragile. Hariri, di fede sunnita, ha compiuto un anno fa uno sforzo di coesione concedendo alcuni ministeri a Hezbollah, ma la situazione si era fatta per lui insostenibile. Non troppo tempo fa (il 14 febbraio 2005) il padre Rafik venne fatto saltare in aria da circa una tonnellata di esplosivo al Saint George Hotel di Beirut. Le indagini dell’Onu hanno sempre fatto ricadere i sospetti su Hezbollah, pur rimanendo ufficialmente sconosciuti i mandanti.
Qui Riad- Il principale Paese sunnita non ci ha pensato due volte. Le dimissioni del primo ministro sembrano direttamente suggerite dai re sauditi, che accusano l’Iran di essersi spinto troppo in là, di voler prendere il controllo di Beirut e di agitare il fronte israeliano. Teheran resta nemica all’interno dello scacchiere mediorientale islamico e già con la guerra in Siria aveva avuto modo di rafforzarsi. Inoltre le difficoltà nella guerra in Yemen contro gli Huthi (altro gruppo sciita), sono dovute per i Sauditi all’appoggio dello stesso Iran. La presenza di Hezbollah nel governo libanese è l’ultima ingerenza sopportabile fra tante altre, così da scatenare una reazione più forte. Difficile dire se Hariri sia più ospite oppure ostaggio della monarchia saudita, ma sarà sicuramente più lontano dal destino del padre.
Qui Teheran- Prima dello stesso Hassan Rohani o di qualsiasi portavoce degli Ayatollah iraniani, ci ha pensato lo stesso Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, a diffondere l’opinione degli sciiti libanesi: «Sono stati i Sauditi ad aver costretto Hariri alle dimissioni, provocando un clima di tensione in Libano, e ora gli impediscono di rientrare nel Paese. Da un anno a questa parte Beirut ha conosciuto un clima di pace inedito, che è stato molto raro nel corso della sua storia. Tutto quello che vuole Riad è scatenare un’altra guerra, spingendo Israele ad attaccare nuovamente i nostri confini».
L’escalation - L’8 novembre Christopher Henzel ha incontrato Hariri, ma non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione in merito al faccia a faccia con il primo ministro libanese. Una cautela occidentale che tradisce una prudenza sospetta. Il fatto che il presidente cristiano Michel Aoun abbia respinto le dimissioni di Hariri, sposa le intenzioni di Hezbollah, di fronte a una serie di messaggi di Riad che hanno insospettito i servizi di sicurezza a Beirut. La richiesta dello Stato saudita verso i propri cittadini residenti in Libano è quella di abbandonare il Paese quanto prima. Stesso discorso vale ora per Kuwait e Bahrein. Il principe ereditario al trono saudita, Mohammed Bin Salman, ha parlato di «aggressione militare da parte di Teheran», per conquistare parte dello scacchiere del Golfo Persico. Il presidente francese Emmanuel Macron è atterrato a Riad per incontrare Bin Salman e trovare una mediazione. Il Libano è un ex colonia francese, ma ora il potere forte nel Paese è Hezbollah, sfortunatamente non troppo amico dell’Occidente e neanche dell’amministrazione Trump, tutt’altro che filoiraniana.
Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia