(ASI) Barcellona- Election day in Catalogna nell’escalation delle violenze fra i cittadini che non rinunciano alle urne e gli agenti di polizia che sono intervenuti in assetto antisommossa. Nella mattina a Girona le forze dell’ordine sono intervenute per chiudere seggio dove avrebbe dovuto votare il presidente della Generalitat Charles Puidgemont.
In altre città della Catalogna gli elettori hanno provato a respingere la polizia al grido di «Voteremo!». I feriti sono quasi 40, anche per l’impiego di proiettili di gomma da parte della Guardia Nacional. L’atmosfera rimane tesa, nel caos di chi dice che l’esito del voto sarà legale e chi a Madrid è certo che non avrà alcuna validità.
L’intervento delle autorità nazionali sono state aspramente criticate dai rappresentanti locali. In un tweet la sindaca di Barcellona Ada Colau ha dato del codardo al presidente spagnolo Mariano Rajoy e chiede le sue dimissioni. Junqueras, numero due del governo catalano, ha evidenziato l’atteggiamento violento di Madrid, «che ha inviato agenti a reprimere e usare violenza contro elettori che si recavano alle urne serenamente». Puidgemont ha concluso semplicemente dicendo che «la violenza è ingiustificata e la vergogna delle azioni di Madrid saranno ricordate da tutti». Il delegato dell’esecutivo spagnolo a Barcellona, Eric Millo, ha replicato di essere stato costretto all’invio degli agenti «avendo la polizia catalana preferito seguire il criterio politico a quello professionale, in difesa del referendum».
«L’escalation irresponsabile è colpa delle autorità catalane, che hanno incitato i cittadini», ha poi aggiunto.
Passando ai numeri, sono attesi 5,3 milioni di aventi diritto al voto. Alla consultazione popolare del 2014 vinsero gli indipendentisti, ma votò solo il 37% dei Catalani. Le statistiche, secondo i sondaggi, danno il 52% ai separatisti, il 48% agli unionisti, percentuali molto simili al voto per la Brexit del 23 giugno 2016. Al di là dei risultati però, nessuno sa quali saranno le conseguenze effettive di un braccio di ferro che rischia di portare alla guerra civile. Le autorità di Barcellona considerano legittima le proprie aspirazioni indipendentiste. Madrid non può concedere nulla. Già governo di minoranza, teme l’effetto contagio di altre realtà locali come quella dei Paesi Baschi e della Galizia, che guardano a distanza, ma con grande interesse.
La Catalogna vuole difendere la propria cultura, lingua e tradizione democratica, ma è evidente il ruolo chiave dell’economia. Barcellona ha un’industria più sviluppata e una maggiore apertura verso l’estero, è cosmopolita con un mercato del lavoro più dinamico.
La media spagnola di Pil pro capite è circa 24mila euro. Quella catalana sfiora i 30mila. Le esportazioni di Barcellona raggiungono quasi il 35% del prodotto interno lordo, ma con una possibile indipendenza sarà da vedere se le imprese straniere che hanno aperto nuovi stabilimenti in Catalogna negli ultimi anni confermeranno l’investimento complessivo di 40 miliardi dal 2003 a oggi.
I cittadini sono convinti di potercela fare, ma la secessione comporta anche l’addio all’Unione europea. L’indipendentismo catalano è europeista quanto quello scozzese, ma da sola, con il rischio esodo degli investimenti, sarà in grado di essere annessa come Repubblica e nuovo Stato, di fronte ai criteri europei e all’incostituzionalità della sua esistenza?
Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia