(ASI) Abuja, Nigeria- Chi senza una mano, chi senza la forza di parlare, chi con un neonato fra le braccia, figlio di jihadisti che sarà malvisto in società, nonostante le violenze. Le ragazze restituite dai militanti di Boko Haram sono 82.
Al momento del rapimento, il 15 aprile 2014 avevano fra i 12 e i 17 anni. «Riportate a casa le nostre ragazze» tre anni fa uno degli hashtag più usati dagli utenti di Twitter. «#BringBackOurGirls» scrivevano, ma il ritorno delle giovani rapite sarebbe stato più complicato del previsto. Sono tornate a casa, ma lo hanno fatto grazie a una lunga trattativa con i rapitori. Prima è intervenuta la Svizzera, poi la Croce Rossa. Con nove camion inviati nella boscaglia africana nel pomeriggio di venerdì 5 maggio gli agenti sanitari internazionali sono riusciti a recuperarle. Il rilascio di quattro militanti jihadisti come prezzo.
Quelle studentesse cristiane e musulmane ora non saranno le stesse sottratte con la forza alla scuola di Chibok nella notte tra il 14 e il 15 aprile 2014. Amnesty raccomanda di restituirle alle famiglie quanto prima, ma da parte degli operatori c'è il timore che possano essersi radicalizzate anche loro. Quella di Boko Haram è una violenza che non ha nulla di inferiore rispetto a quella del Califfato Islamico in Siria e Iraq. Prendono di mira le scuole e sfruttano la religione come pretesto per esercitare terrore e violenza. Qualche prigioniera è stata costretta a farsi esplodere, altre, vergini, sono state vendute a poco. Vengono punite se non recitano correttamente i versi del Corano. Qualcuna era già fuggita, altre sono disperse. Per il comitato di #BringBackOurGirls mancano all'appello 113 ragazze.
Fra le giovani, ha raccontato Zannah Mustapha, uno dei mediatori, alcune hanno rifiutato la liberazione. «Non potevo costringerle», ha detto l'avvocato, «in loro deve essersi sviluppato un senso di vergogna verso le famiglie e la società. Se non si sono addirittura identificate con la condizione dei sequestratori, di certo temono nuovi traumi. Un tuffo verso l'ignoto che le ragazze non sembrano in grado di sopportare».
La presidente della Camera Laura Boldrini era atterrata ad Abuja, la capitale nigeriana, il giorno stesso del rilascio per una missione internazionale contro la tratta clandestina dei migranti. Anche lei si rende conto del problema: «Un reinserimento difficile per queste ragazze. Saranno stati anni durissimi, alcune torturate, altre costrette a sposare i loro stessi rapitori e violentatori», ha detto Boldrini, «ma anche quelle che non sono state ancora liberate non devono essere dimenticate. È necessario continuare a sperare e lavorare per metterle in salvo».
Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia