Il 14 e 15 maggio prossimi, Pechino sarà infatti la città ospitante della prima edizione assoluta del Forum Belt and Road per la Cooperazione Internazionale, un vertice a cui prenderanno parte i rappresentanti di 110 Paesi nel mondo e 28 tra capi di Stato o di governo, interamente dedicato all'iniziativa Belt and Road, ovvero il piano di sviluppo e investimenti che sta cercando di ricostruire in chiave moderna le direttrici commerciali e infrastrutturali dell'antica Via della Seta.
Nato da un'idea della leadership cinese, il progetto, nel corso degli ultimi tre anni e mezzo, ha preso sempre più consistenza, attirando l'attenzione di decine di Paesi, a partire da quelli dell'Asia Centrale, ovviamente coinvolti in prima linea nella riapertura delle vecchie vie carovaniere seppellite da quattro secoli di preminenza navale, ma via via anche di molti altri tra quelli posizionati lungo le fasce costiere meridionali dell'Europa e dell'Asia e la fascia costiera orientale dell'Africa. Richiamando gli auspici di Xi Jinping, il consigliere di Stato Yang Jiechi, intervistato lo scorso 3 febbraio dal China Daily, ha sottolineato che il Forum sarà anche l'occasione per «esplorare i modi con cui affrontare i problemi dell'economia globale e regionale, sprigionare energie fresche finalizzate al perseguimento di uno sviluppo interconnesso e svelare ai popoli di tutte le nazioni i maggiori benefici dell'iniziativa Belt and Road».
L'Italia e il ruolo di Venezia
L'Italia, che al Forum sarà rappresentata dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, potrà giocare un ruolo da protagonista, come sottolineato dal presidente Sergio Mattarella nel corso della sua ultima visita a Pechino, ma anche come auspicato dal governo cinese, che aveva già da tempo individuato nel porto di Venezia un potenziale hub strategico dal sapore antico, capace di evocare una delle più grande avventure della storia mondiale, cioè il viaggio di Marco Polo.
Stando al progetto, infatti, il capoluogo veneto andrebbe a costituire l'unico anello di congiunzione tra la catena marittima (Via della Seta Marittima del XXI Secolo), proveniente dal Canale di Suez, e la catena terrestre (Cintura Economica della Via della Seta), proveniente da Rotterdam. Il primo importante via libera all'operazione è stato dato il 3 febbraio scorso, quando il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e il presidente dell'autorità portuale Paolo Costa hanno siglato un accordo con Song Debin, general manager per l'Europa e il Medio Oriente di China Communication Constructions Company Group (CCCG). Secondo quanto riportato da Venezia Today, al consorzio di imprese italo-cinese 4C3, che fa capo al gruppo asiatico, spetterà «la realizzazione di una piattaforma d'altura a 8 miglia da Malamocco e di terminal container in area Montesyndial a Porto Marghera». Entro sei mesi, il progetto definitivo sarà presentato al governo. In un colpo solo, Venezia potrebbe così risolvere i suoi annosi problemi logistici grazie ad un nuovo terminal off-shore ed entrare da protagonista in un progetto di portata globale.
Nel suo incontro con Xi Jinping a febbraio, Mattarella aveva citato con soddisfazione le «numerose iniziative già in atto» tra i due Paesi, annunciando che «l'Italia ritiene di poter concorrere alla costruzione di una nuova Via della Seta - anzi, per meglio dire, alle nuove Vie della Seta - che siano certo i nuovi percorsi del commercio e dell’ingegno costruttivo, ma anche della cultura, della conoscenza e di una sempre maggiore comprensione reciproca, in un processo di stimolo e di accrescimento vicendevoli». Il recentissimo viaggio di Federica Mogherini in Cina nell'ambito del 7° Dialogo Strategico UE-Cina ha confermato il forte interesse dell'Italia e dell'Europa per l'iniziativa. Malgrado restino sullo sfondo ancora alcuni motivi di incomprensione tra Bruxelles e Pechino, secondo l'alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la Sicurezza «è essenziale che le opportunità siano aperte a tutti, compresi gli europei», aggiungendo inoltre che «la Cina può svolgere un ruolo molto positivo in numerosi ambiti, dall'Afghanistan alla Siria».
Un necessario cambiamento di mentalità
Tuttavia, il vuoto informativo resta un problema non di poco conto. Di quanto proposto dalla Cina in ambito internazionale si sa sempre piuttosto poco in Occidente, sia per un interesse ancora troppo scarso dei lettori e degli ascoltatori nei confronti della politica internazionale sia perché, malgrado le apparenze, coloro che si occupano di Asia nel mainstream hanno solitamente un'età avanzata e probabilmente, anche non volendo, vedono ancora quella regione con gli occhi del passato.
Diversamente non si spiegherebbe lo stupore generalizzato, misto ad incomprensione, di fronte all'ultimo discorso pronunciato a Davos da Xi Jinping. Molti sono stati gli orecchi puntati sulle argomentazioni in difesa del libero commercio e della globalizzazione, spesso utilizzate per titoli e catenacci di grande impatto, ma poco spazio è stato riservato alle contigue proposte di riforma della governance internazionale, alla denuncia di un divario reddituale globale sempre più eccessivo e del simultaneo fallimento dei meccanismi di regolazione finanziaria.
Da queste consapevolezze nasce la necessità, posta da Pechino anche nel corso del G20 di Hangzhou dello scorso anno, di tornare ad investire saggiamente sull'economia reale e su priorità effettive quali le infrastrutture, l'alta-tecnologia, la sicurezza alimentare e la tutela dell'ambiente sulla scia di un paradigma di sviluppo sostenibile che la Cina ha definitivamente adottato a partire dall'avvio della "nuova normalità" economica e dal lancio della riforma strutturale dell'offerta, che dovrà guidare il passaggio, già in corso, da un'economia in prevalenza manifatturiera trainata all'export ad un'economia in prevalenza di servizi trainata dai consumi interni.
Sostenuta dal Fondo Silkroad, l'iniziativa Belt and Road può fare affidamento anche sulla Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (AIIB), lanciata a Pechino nel gennaio 2016 dopo oltre un anno di trattative per l'adesione. L'istituto a guida cinese è una banca multilaterale di sviluppo che raccoglie 35 Paesi membri regionali (asiatici), 17 Paesi membri non-regionali, tra cui l'Italia che partecipa al board con una quota di circa 2,57 miliardi di dollari pari al 2,8% del totale, e 18 Paesi membri potenziali, tra cui Brasile, Canada e Sudafrica. Non è forse casuale il fatto che tra il 16 e il 18 giugno prossimi, cioè appena un mese dopo la conclusione del Forum Belt and Road per la Cooperazione Internazionale, la città sudcoreana di Jeju ospiterà il 2° Vertice Annuale del Consiglio di Amministrazione di AIIB.
Ne restano fuori per ora Stati Uniti e Giappone, già riluttanti a partecipare ai negoziati preliminari nel 2015 per il timore che, malgrado le rassicurazioni di Pechino sulla complementarietà tra i due istituti, la Banca Asiatica per lo Sviluppo (ADB), di cui Washington e Tokyo sono i maggiori azionisti, possa essere marginalizzata e messa in disparte a più di cinquanta anni dalla sua fondazione. Nel frattempo, però, l'adesione ad AIIB e, più in generale, l'interesse per l'iniziativa Belt and Road da parte di molti partner dei due storici alleati del Pacifico dimostrano che sta per cominciare una nuova era nelle relazioni internazionali, dove gli schemi del secolo scorso, con la loro rigida logica dei blocchi militari e del doppio standard, non sono più attuali. L'indigenza ancora diffusa in vaste aree del pianeta, il terrorismo, l'infanzia violata, la crisi del mercato del lavoro, l'instabilità finanziaria, le migrazioni e i cambiamenti climatici sono problemi enormi che dovranno essere affrontati col contributo di tutti.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia