(ASI) – Anche a Puerto Rico la vincitrice delle primarie democratiche è stata Hillary Clinton. L’ex First Lady ha ancora una volta battuto il rivale Bernie Sanders e si è portata a 2.353 delegati. A questo punto sono solo trenta i delegati che separano la Clinton dalla nomination democratica.
Hillary dal canto si è sempre mostrata sicura di se, e fin dal mese scorso, ha impostato la propria campagna elettorale nell’ottica delle presidenziali di autunno dedicandosi al confronto con il già nominato portabandiera repubblicano Donald Trump. Ma Sanders ha fatto sapere di non aver ancora nessuna intenzione di mollare. Con il Super Tuesday, l’ultimo super martedì del 7 giugno quando andranno al voto New Jersey, New Mexico, South Dakota, North Dakota, montana e California per un totale di 600 delegati. Proprio la California, stato di residenza delle star americane e il cui tessuto socio-economico ha spesso dimostrato di anticipare le future tendenze, sarà il punto focale che deciderà le sorti dello scontro tra Hillary e Sanders. In caso di una vittoria nello Stato del Sole, il governatore del Vermont ha buone possibilità di attirare il voto dei 500 Super Delegati. Questo gruppo, formato da delegati il cui appoggio è svincolato dai risultati delle primarie, attualmente offre un poco convinto sostegno alla Clinton, apparentemente più per un questione di calcolo politico che non per convinzione. Il voto della California, lo stato più alla “moda” dell’unione, potrebbe dunque dare a Sanders un valido punto d’appoggio per attirare il sostegno dei 500 sulla propria candidatura. Il governatore del Vermont è quindi tornato ad attaccare la Clinton sottolineando ancora una volta i suoi continui e fruttuosi rapporti con l’alta finanza speculativa di Wall Street responsabile della crisi economica. Altri scheletri che pesano nell’armadio dell’ex first Lady il conflitto d’interessi per i finanziamenti alla filantropica Clinton Foundation, il suo sostegno all’intervento militare in Iraq, e le sue posizioni fortemente favorevoli ad un intervento americano in Libia e all’istituzione di una “no-fly zone” in Siria. Sanders ha quindi “consigliato” alla Clinton di non cantare vittoria prematuramente. Quest’ultima infatti, su consiglio del proprio staff, ostenta ormai da oltre un mese l’atteggiamento del vincitore, offrendo continuamente a Sanders la “possibilità” di ritirarsi per permettere all’ex-first lady di “riunificare il partito” in vista dello scontro con i “gran cattivo” Donald Trump.
Ma Clinton non sembra proprio essere nelle condizioni di aver già vinto le primarie, pertanto un assist formidabile a suo sostegno è giunto dall’ex-rivale alle precedenti primarie democratiche, il presidente Barack Obama. Obama, di ritorno dal G7 tenutosi in Giappone ha dichiarato che i leader mondiali riunitivisi “si sono detti profondamente turbati dall’eventualità di dover in futuro dialogare con un soggetto come Donald Trump nelle vesti di presidente degli Stati Uniti”. Dal canto suo il miliardario newyorkese non si è scomposto. Per Donald Trump, trionfatore delle primarie e repubblicane da ormai dieci giorni, cioè dal voto nello stato di Washington che gli ha fatto raggiungere i 1237 delegati necessari alla nomination, la questione rappresenta anzi un punto di orgoglio. Nel criticare l’operato nei due mandati del presidente afroamericano, Trump ha dichiarato –“Se i leader mondiali sono turbati da me non può che essere una buona cosa”. A differenza dei democratici, in casa repubblicana è definitivamente svanita ogni incognita sul futuro candidato. Con esse sono svanite anche le speranze degli ultimi elementi della leadership di partito che ancora speravano di poter silurare Trump alla convention di Cleveland in luglio, per mezzo di convergenze di voti dell’ultimo momento. Gli ultimi delegati in palio domani per i repubblicani nel corso del super martedì, e specialmente quelli della California, promettono di andare a rinforzare ancor di più la leadership di Trump.
Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia