Germania. Il disincanto e il nuovo nazionalismo dell'Est

(ASI) A pochi giorni dalla divulgazione mondiale dei fatti avvenuti nella notte di Capodanno a Colonia, in Germania, l'opinione pubblica tedesca è ancora sconvolta.

Le violenze e le molestie perpetrate da diverse centinaia di immigrati di origine maghrebina nella zona della stazione ferroviaria locale hanno aperto una voragine tra il governo di grande coalizione guidato dalla cancelliera Angela Merkel e una larga fetta della popolazione. I dubbi espressi da molti tedeschi sulle politiche di accoglienza inaugurate l'anno scorso cominciano ora a diventare certezze negative sull'impossibilità di aprire le frontiere ad una massa così estesa di extracomunitari e sull'incompatibilità tra i tedeschi e almeno una parte di coloro che hanno richiesto asilo. In particolare - ed è questo il dato più allarmante - nella percezione del tedesco medio ricevono sempre maggiori conferme i sospetti nutriti in merito alle possibili infiltrazioni di delinquenti comuni o addirittura terroristi tra la massa di profughi in viaggio verso l'Europa.

 

La Germania sperimenta la paura

Non era certo difficile intuire, soprattutto dopo i risultati delle indagini a seguito gli attacchi di Parigi, che in un campione di un milione di immigrati potessero nascondersi anche frange composte da personaggi poco raccomandabili che ora rischiano di mettere seriamente a repentaglio non solo la già precaria sicurezza delle grandi città europee, ma anche la relativa tranquillità dei centri di medie o piccole dimensioni, che in racchiudono la maggioranza degli agglomerati urbani nel nostro continente. Se in Italia, i territori comunali di Roma, Milano, Torino e Napoli contano complessivamente appena 7 dei 58 milioni di abitanti del nostro Paese, in Germania la situazione non è molto diversa: dei 183 comuni sopra i 50.000 abitanti - quelli che, come diremmo in Italia, "fanno provincia" - solo una quarantina superano i 200.000 abitanti, solo 13 il mezzo milione e solo 4 superano il milione.

Com'è noto ai più, la Germania ospita la più grande comunità turca all'estero. Secondo il Destatis, l'istituto di statistica federale, risiedono legalmente in Germania più di 1,5 milioni di turchi, una gruppo etnico allogeno ormai giunto nel Paese alla sua terza generazione. Seguono la comunità polacca (circa 675.000), quella italiana (circa 575.000) e via a scendere romeni, greci, croati, russi, serbi, bulgari, austriaci, ungheresi, spagnoli, olandesi, portoghesi, ucraini ecc. C'è poi una zona d'ombra di immigrazione illegale, quantificata in una stima compresa tra le 200.000 e le 460.000 unità.

Al di là dei turchi, dunque, tutte le altre comunità più corpose insediatesi in Germania prima del 2014 sono di origine europea e di religione cristiana (cattolica, protestante o ortodossa). Nell'ultimo anno, invece, Berlino si è trovata a fare i conti con un tipo di immigrazione africana e mediorientale che conosceva solo marginalmente, avendone inizialmente delegato le incombenze gestionali ai Paesi mediterranei e alla Francia, a cui per consuetudine "bruxelliana" viene riservata la gestione della politica estera europea, creando un serio problema di prospettiva continentale quando Parigi e Berlino dovessero dissentire tra loro, come fu nel 2011 per la crisi libica o com'è stato, almeno in parte, per la crisi ucraina.

La CDU e l'SPD, dal 2013 ancora insieme al governo come nel 2005-2009, sembrano non in grado di dare una risposta seria ed efficace al problema migratorio che vada al di là della retorica, dietro cui spesso si celano inconfessabili interessi nel mondo del caporalato e dello sfruttamento della manodopera a basso costo: un problema che in Germania ha coinvolto per anni molti immigrati polacchi, prima del recente "mini-boom" economico di Varsavia. Qualcosa aveva già cominciato a scricchiolare alla fine di settembre, quando la CSU, alleato bavarese della CDU, aveva preso le distanze dalla decisione di Berlino, addirittura ospitando ad un vertice sui temi della sicurezza in Europa il primo ministro ungherese Vitkor Orban, principale antagonista di Berlino e Bruxelles in materia di immigrazione.

 

Pegida, Pegada e AfD

Il capodanno dell'orrore di Colonia mette così a nudo l'approssimazione di Angela Merkel e l'incapacità di soppesare in modo adeguato la situazione geopolitica al di fuori dei confini europei, offuscando i criteri politici, sociali ed economici adatti per accogliere richieste di asilo serie e motivate, e per prendere le giuste contromisure così da garantire la sicurezza della Germania e delle sue città più popolose e più esposte ai rischi della deflagrazione interetnica.

Tra queste vi è Colonia, principale centro storico e culturale cattolico della Nord Renania - Westfalia, dove ieri ha sfilato in strada la sinistra radicale contro "il pericolo neofascista" mentre oggi è sceso in piazza l'ormai celebre movimento Pegida, acronimo della più estesa definizione di "Patrioti Europei contro l'Islamizzazione dell'Occidente", coadiuvato per l'occasione dall'estrema destra dell'NPD. Pegida è una novità recente nel panorama politico tedesco: fondato a Dresda nel 2014 da Lutz Bachmann, il movimento anti-islamista è salito alla ribalta delle cronache dopo le affollate manifestazioni organizzate lo scorso anno nella città dell'ex DDR in risposta alla crescente presenza di immigrati di fede musulmana. Nonostante Bachmann abbia adottato simboli e linguaggi che cercavano evidentemente di respingere le prevedibili accuse di estremismo e neo-nazismo, Pegida sta incarnando il vero e proprio ruolo-shock di questa stagione politica tedesca. Non è un partito, dichiara di battersi contro l'islamizzazione in un Paese che ospita una considerevole comunità turca ed in una fase in cui il politicamente corretto impone continua prudenza e comprensione, a volte persino in eccesso, nei confronti del mondo islamico.

Con i suoi 200.000 abitanti, Erfurt, nel cuore della Turingia, è un'altra città della vecchia DDR. Fu uno dei centri della Riforma protestante e della rivolta contro il potere del clero cattolico romano, ma anche il luogo dei tentativi di conciliazione tra le due Germanie all'epoca di Willy Brandt e di Willi Stoph. Da qui circa un anno fa, è partita l'attività di Pegada. Si tratta di un movimento patriottico simile a Pegida, ma in questo caso la battaglia politica viene condotta in particolare contro "l'americanizzazione dell'Occidente". Anche qui, si sono concentrate le accuse di molti osservatori in merito alla natura ideologica "para-nazista" del movimento. Non sembra ci siano connessioni né filiazioni rispetto a Pegida, tuttavia Pegada si è finora segnalato per la sua opposizione alle politiche della NATO, la vicinanza alla Russia di Putin e la difesa della Germania e dell'Europa dal modello di società americano, ivi incluso il multiculturalismo.

A questo movimentismo popolare, va poi aggiunta la presenza già strutturata del partito euroscettico e conservatore di Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania), che alle ultime elezioni politiche del 2013 non ha superato lo sbarramento del 5%, fermandosi a quota 4,7%, lasciando privi di rappresentanza al Bundestag i suoi oltre 2 milioni di elettori. Il dato curioso è che ha toccato punte del 7% e dell'8% tra la Pomerania anteriore, il Brandeburgo orientale, la Sassonia e la Turingia, ovvero in gran parte dei territori dell'ex Germania Orientale. Ad Ovest, ha avuto percentuali di rilievo soltanto nell'area di Karlsruhe a Sud e in quella di Amburgo a Nord.

 

Un nuovo nazionalismo filo-russo anche in Germania?

Le politiche promosse da Washington e Parigi in Medio Oriente negli ultimi quattro anni e la risposta europea alla crisi migratoria in corso da oltre un anno si sono palesemente sovrapposte l'una sull'altra, spalleggiando l'attivismo del presidente turco Erdoğan, che alla fine del 2015 ha ottenuto in poco tempo sia l'appoggio politico-militare durante la crisi con la Russia sulla questione siriana che un finanziamento UE di 3 miliardi di euro per contenere i flussi migratori.

Il pragmatismo anti-ISIS di Vladimir Putin e il rinnovo delle sanzioni contro la Russia da parte della Commissione Europea, sullo sfondo delle difficoltà economiche che vive il Vecchio Continente, hanno fatto da detonatore nell'opinione pubblica europea, spostando buona parte del consenso comune verso leader di destra come Marine Le Pen in Francia, Viktor Orbán in Ungheria, Beata Szydło in Polonia o Heinz-Christian Strache in Austria ma anche di sinistra come Robert Fico in Slovacchia e Miloš Zeman in Repubblica Ceca. Ad eccezione del partito di governo polacco, Diritto e Giustizia, notoriamente ostile a Mosca per ragioni storico-confessionali, ognuno di questi personaggi politici ha espresso forti critiche nei confronti delle politiche adottate da Bruxelles tanto rispetto a Mosca quanto rispetto alla gestione dell'immigrazione di massa.

In Germania, però, si osserva un caso particolare. L'opposizione alle politiche di Angela Merkel, all'immigrazione di massa e a quello che viene percepito come uno sgretolamento dell'identità culturale tedesca è concentrato in buona parte nei territori dell'ex DDR. Non era una novità che il Muro avesse lasciato sul terreno differenze urbanistiche, sociali, comportamentali e persino caratteriali tra i cittadini delle due Germanie. Oltre a questo, però, si registra un crescente sentimento nazionalistico non nell'Ovest, sorto sotto l'ombrello protettivo della NATO, ma nell'Est, emerso sotto il socialismo autoritario della SED e della Volskarmee. Quello di Pegida, Pegada e di AfD è un nazionalismo sprovvisto di grandi teorie, di noti intellettuali ma anche privo (o almeno si spera) di slanci imperialistici o neocolonialistici che, in controtendenza col vecchio nazionalismo guglielmino e con quello hitleriano, sembra ripudiare i legami storici del Paese con la Turchia e con un pezzo importante del mondo islamico per volgere invece lo sguardo verso il mondo slavofono ed in particolare la Russia, guidata - ironia della sorte - da un ex colonnello del KGB di stanza a Berlino Est.

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

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