(ASI) La tensione in Medio Oriente ritorna alta in questi giorni dopo l'esecuzione di sabato nel Regno dell'Arabia Saudita di 47 prigionieri accusati di essere "terroristi", tra i quali vi era anche uno Sheikh sciita, l'imam Nimr al Nimr.
La morte di al Nimir ha scatenato una dura protesta di tutte le fasce della popolazione sciita nella regione arrivando a interessare anche lo Stato sciita per eccellenza, ovvero la Repubblica Islamica dell'Iran. L'imam era uno dei principali rappresentanti dei mussulmani sciiti che in Arabia Saudita – Stato a maggioranza sunnita di cui n’è espressione anche la monarchia al potere – sono la minoranza. Lo Sheikh venne arrestato nel 2012 con l'accusa di “sedizione contro lo Stato e per possesso di armi”. Di fatto il leader religioso si era espresso più volte contro la monarchia saudita accusandola di essere intollerante verso le diverse confessioni religiose e pensieri politici, tanto da arrivare a chiedere nel 2009 la secessione delle province orientali ricche di petrolio e dove vive la maggioranza dei due milioni di sciiti del Regno. Ma non solo, al Nimr molto popolare tra i giovani nel 2011 aveva incitato la sua gente a portare avanti nel Paese le “Primavere Arabe” che nel resto del mondo arabo imperversavano, ma mai facendo appello alla violenza e richiamando sempre a tenere un atteggiamento pacifico. Proprio per questa sua indole “nonviolenta”, lo Sheikh sciita aveva contestato con forza l'ulteriore incriminazione di “possesso di armi”. Però, purtroppo, la pena capitale con l'accusa d’”incitamento alla lotta settaria” è stata confermata il 25 ottobre scorso.
Le proteste sono iniziate subito dopo la diffusione della notizia inerente alla morte del leader religioso. Forti manifestazioni si sono registrate in Libano – dove il movimento sciita Hezbollah, alleato dell'Iran, ha affermato di ritenere «gli Usa e i suoi alleati responsabili» per le esecuzioni, «perché coprono i crimini del Regno» –, a Qatif (nella zona Est dell'Arabia Saudita) dove viveva al Nimr molte decine di sciiti hanno dato vita a una marcia di protesta nelle strade e altrettanti hanno manifestato nel Regno del Bahrein – Stato a guida monarchica di stampo sunnita in cui i sciiti rappresentano la maggioranza della popolazione – dove le forze dell'ordine hanno disperso i manifestanti con l'ausilio di gas lacrimogeni.
Ma dove le proteste hanno toccato, per il momento, il picco più alto è in Iran. Qui nella giornata di domenica, le diverse dichiarazioni dei rappresentanti politici e religiosi si rincorrevano per esprimere la loro totale condanna per l'avvenuta esecuzione dell'imam. La Guida spirituale iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, attaccando Riyad aveva dichiarato che «L'ingiusto spargimento di sangue di questo martire avrà delle repentine conseguenze», l'Arabia Saudita sarà costretta a scontare «la vendetta divina»; e non ha risparmiato nemmeno gli alleati occidentali dell'Arabia Saudita rei, secondo Khamenei, di essere restati in silenzio per quanto riguarda le esecuzioni e sostenitori ancora dello Stato Saudita: «Perché non hanno detto nulla coloro che affermano di sostenere i diritti umani? Perché coloro che pretendono di sostenere la democrazia e la libertà supportano questo governo saudita». In riguardo alla condotta pacifica della protesta portata avanti da Nimr al Nimr l'ayatollah asserisce che «non ha mai incoraggiato le persone all'azione armata, non ha neanche cospirato segretamente ma l'unica cosa che ha fatto è stata una dura critica pubblica che deriva dal suo zelo religioso». Queste dichiarazioni hanno però acceso la miccia dei tumulti. Nella sera di domenica, un gruppo di civili è riuscito a sfondare i cancelli e ha preso d'assalto l'ambasciata saudita a Teheran. I manifestanti all'interno hanno saccheggiato l'edificio, per poi dare alle fiamme alcuni locali. Contemporaneamente è stato attaccato anche il consolato sunnita a Mashhad. Gli attacchi sono stati condannati dal Premier iraniano Hassan Rouhani che, rimarcando la dura esecrazione per la morte dell'Imam sciita, ha qualificato come “inaccettabili” gli attacchi alle ambasciate, aggiungendo che già sono stati individuati e arrestati 40 soggetti che hanno partecipato alle sommosse.
Tali atti hanno però avuto l'effetto di inasprimento dei rapporti tra i rivali Iran e Arabia Saudita. Il governo saudita dopo l'attacco alle sue ambasciate ha annunciato, per bocca del Ministro degli Esteri Said Adel al Jubeir, la rottura delle relazioni diplomatiche con Teheran ed il rientro in patria del proprio personale diplomatico e sancendo l'uscita dei diplomatici iraniani dall'Arabia Saudita entro le 48 ore, accusando inoltre l'Iran di sostenere il “terrorismo”. Si unisco alla rottura dei rapporti con l'Iran il Sudan e il Bahrein.
Subito non sono mancate le reazione estere. Washington, da sempre un forte alleato della monarchia saudita, ha richiamato il Paese arabo ad una maggiore moderazione sui diritti umani e dichiarando la propria preoccupazione per l'aggravarsi della tensione in Medio Oriente, ha invitato i governi di Teheran e Ryad a «fermare l'escalation e a mostrare moderazione e non infiammare ulteriormente la situazione nella regione». Il Segretario Generale dell'O.N.U., Ban Ki-moon, ha richiamato alla calma, dicendosi «profondamente costernato» dalle 47 esecuzioni avvenute nell'Arabia Saudita e ha chiesto «a tutti i leader della regione di lavorare per evitare l'aggravarsi di tensioni settarie». La Russia ha affermato di concedere la propria disponibilità per un ruolo da intermediaria tra le due Nazioni. Federica Mogherini – Alto rappresentante dell'Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza – dal canto suo, in una telefonata sostenuta con il Ministro degli Esteri dell'Arabia Saudita, ha riconfermato la «totale contrarietà dell'U.E. alla pena di morte in qualsiasi circostanza», e condannando l'assalto alle ambasciate saudite ha chiesto di «evitare qualsiasi azione che possa alimentare la violenza nella regione e oltre. Da tutti i poteri regionali ci si aspetta che agiscano in modo responsabile in questa situazione già molto instabile».
Le 47 esecuzioni avvenute sono il numero più alto registrato fin dal 1980, quando vennero messi a morte 63 militanti fondamentalisti per un assalto alla Grande Moschea della Mecca l'anno precedente. Queste morti si vanno a sommare alle già molte altre che, secondo i dati forniti da diverse organizzazioni umanitarie, danno il numero di 157 nel solo 2015. Numeri impressionanti, che però – paradossalmente – non hanno impedito all'Arabia Saudita di essere messa al vertice del Consiglio per i diritti umani dell'O.N.U. nel 2016, tramite il suo ambasciatore Faisal bin Hassan Trad. La nomina è stato detto che ha lo scopo, perseguito dal blocco occidentale con a capo gli Stati Uniti, di riportare dalla propria parte quegli Stati fondamentali per la soluzione dei conflitti nell'area, primi su tutti quello yemenita e, soprattutto, quello in Siria.
La situazione fin qui descritta è un'ennesima prova dell'importanza geopolitica che riveste in questo momento la regione del Medio Oriente. Qui lo scacchiere internazionale muove le sue pedine. L'Occidente e i Paesi alternativi ad esso, si stanno affrontando indirettamente con l'ausilio dei loro alleati in loco. Dopo la caduta di uno Stato non incline all'Occidente come era la Libia, sull'onda delle famigerate “Primavere arabe”, lo scontro si è poi spostato in Siria. In quest'ultima, la lotta tra Occidente e anti-Occidente si è per il momento fermata. La Russia ha più volte accusato, apportando prove e video, di pericolosa “intesa” che corre tra l'Arabia Saudita e la Turchia di Erdoğan con l’I.S.I.S., tanto da portare il governo di Mosca a rivolgere il dito verso la famiglia del Presidente Turco. Secondo le fonti russe la società del figlio di Erdoğan, Bilal Erdoğan, avrebbe comprato il petrolio dei giacimento sotto possesso dei miliziani jihadisti. Vladimir Putin, che rappresenta la maggiore forza alternativa all'Occidente, con la decisione d’intervenire militarmente, attraverso l'aviazione russa, a sostegno della pluridecennale alleata Siria, ha messo alle strette l'I.S.I.S. e ridimensionato i vecchi piani egemoni degli alleati pro-occidentali della zona, ovvero le più volte citate Arabia Saudita e Turchia. Le vittorie conseguite dai russi, dal Governo di Assad e dall'Iran, sicuramente non sono state viste di buon occhio dalla monarchia saudita che deve scontare un già forte malcontento interno ad opera in particolare modo, come si è visto, degli sciiti abitanti nello Stato. Se la morte dell'Imam Nimr al Nimr sia uno “sfoggio di muscoli” dei sauditi verso gli iraniani, al momento non è dato saperlo. Quello che però potrebbe portare questa esecuzione e le azioni di protesta scatenatesi dopo di essa, possono avere dei risultati tragici. Che la fine dei rapporti diplomatici tra Arabia Saudita e alleati con l'Iran, possa essere l'inizio di una polveriera dalle proporzioni mai visti nel Medio Oriente e con conseguenziali interessamenti dei fronti “Occidente” e “Alternativi all'Occidente”? Si spera di no, ma c'è “qualcuno” che sembra pericolosamente correrci incontro.
Federico Pulcinelli – Agenzia Stampa Italia