(ASI) Come è ormai risaputo, le elezioni parlamentari in Turchia del 1° novembre hanno sancito la grande vittoria del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi – A.K.P.) guidato dall’attuale Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan, riconfermando in tal modo l’uscente Primo Ministro Ahmet Davutoğlu.
L’A.K.P. ha conquistato la maggioranza assoluta in Parlamento, prendendosi 317 seggi su 550. I concorrenti: Partito Popolare Repubblicano (Cumhuriyet Halk Partisi – C.H.P.), di centrosinistra e laico, 134 seggi; Partito del Movimento Nazionalista (Milliyetçi Hareket Partisi – M.H.P.), nazionalista, 59 seggi; Partito Democratico del Popolo (Halkların Demokratik Partisi – H.D.P.), filo-curdo, 40 seggi.
Il voto era stato anticipato a causa della perdita della maggioranza assoluta da parte del A.K.P. nelle elezioni del 7 giugno sempre di quest’anno. Nelle quali invece era riuscito a fare la sua entrata in Parlamento il partito filo-curdo H.D.P.. Ma in particolar modo indette prima del tempo, per una mancanza troppo incolmabile ai fini della modifica della Costituzione turca per sancire la riforma presidenziale che interessa ad Erdoğan. Modifica della Costituzione, per la quale sono necessari i due terzi dei seggi parlamentari.
La riforma presidenziale “modello turco” – come la chiamano i dirigenti di Giustizia e Sviluppo – è un progetto che tende a trasformare la Turchia da “Repubblica parlamentare” a “Repubblica presidenziale” ma secondo canoni turchi, ovvero la riforma nelle intenzioni sarà studiata su principi nazionali senza prendere spunto da modelli stranieri. Dunque una forma di presidenzialismo “ex novo”.
Recep Tayyip Erdoğan è colui che ha dato una prorompente spinta verso lo sviluppo alla Turchia nei ultimi 15 anni. Industrializzazione, modernizzazione sono i grandi risultati che la Nazione turca ha raggiunto sotto la guida di Erdoğan, e che hanno permesso a lui questa grande affermazione politica. Un alacre sviluppo che ha reso ad oggi la Turchia una protagonista delle vicende mondiali. Ma non solo crescita economica e politica, l’azione del leader del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo è tesa da sempre a riconiugare la Turchia con il suo antico passato “Ottomano”. Erdoğan in tutti i suoi anni di governo a continuamente minato le basi laiche e secolarizzate istituite da Mustafa Kemal Atatürk nei primi anni del ‘900, per riportare in auge le radici fondamentaliste islamiche dell’Impero Ottomano. Tanto che il termine “Sultano” è stato utilizzato sovente come epiteto per denigrare il Presidente Turco.
Di sicuro i richiami ai fasti del tempo Ottomano non si fermano solo alle radici religiose. Erdoğan nei recenti anni ha compiuto diverse manovre che potrebbero definirsi “imperialistiche”. Stringendo una salda amicizia con tutto l’Occidente, è divenuto un serio avversario politico e geopolitico dei suoi “vicini”. Per accrescere il dominio della Turchia nel Medio Oriente, è ormai una prova che abbia “aiutato” diverse manovre destabilizzatrici in quella zona, soprattutto verso la Siria di Assad.
Manovre che in parte gli si ritorcono contro ora. Come l’l.S.I.S.. Se prima i “foreign fighters”, i combattenti stranieri, passavano “indisturbati” dalla Turchia per andare a combattere in Siria e se lo stesso temibile Stato islamico era visto con una certa “noncuranza”. Ora anche Erdoğan, dopo i mutati scenari locali con l’intervento anche della Russia a sostegno di Assad, ha dovuto irrigidire la sua politica nei confronti dei così detti “tagliagole”. Così salutando, per il momento, ogni sogno egemonico teso a riaffermare la fu sovranità ottomana.
Ma non solo questo. La Turchia sta subendo anche essa l’immigrazione senza fine dei sfollati di quelle zone che ha contribuito a destabilizzare. Ma anche subendoli, il Governo di Ankara non si è minimamente mosso per fermare gli immigrati che in realtà non vogliono rimanere in Turchia ma raggiungere l’Europa. E alla lunga questo fatto è divenuto un vantaggio. Erdoğan sa bene che la Germania è terrorizzata dal flusso di persone che spinge alle sue porte, e sta utilizzando la situazione per accrescere l’importanza della Turchia in un possibile futuro quadro europeo – semmai il suo Paese dovesse divenire membro dell’Unione Europea. Più volte Bruxelles, dietro mandato di Berlino, ha spinto la Turchia a fermare i migranti promettendo ottime concessioni in cambio. Fin ora Erdoğan si è rifiutato o comunque si è dato per indeciso. Ciò semplicemente per accrescere, come detto, l’importanza della Turchia al tavolo delle trattative, e la visita della Merkel al Presidente Erdoğan nel palazzo di Yildiz (antica residenza del sultano) – visita con tema proprio i “confini” –, poco prima delle elezioni turche, la dice lunga al riguardo.
Dunque un politico capace, un fine statista è da considerarsi il Presidente della Turchia, e questo voto con grande consenso popolare – ottenuto anche con una certa “ostacolazione” dei avversari politici – è da considerarsi una prova emblematica delle sue capacità. “Capacità”, però, che rimanendo in un quadro nazionale della sola Turchia, per quanto si possa essere in disaccordo, funzionano, ma quando ambiscono ad un afflato imperialistico divengono pericolose.
Occhi ben aperti sul turco…
Federico Pulcinelli – Agenzia Stampa Italia