Che le logiche del mercato finanziario e dell'economia in generale interferiscano e condizionino gli eventi sociali e politici mondiali è una realtà.
Ne è la prova evidente quello che è successo prima e dopo il referendum in Grecia, dove il governo Tsipras è stato costretto ad accettare, contro la volontà popolare, le condizioni più umilianti, imposte dalla trojka, pur di non veder fallito il suo Stato. Il 28 luglio, a seguito di una denuncia di Eurofer, il comitato antidumping dell’UE con un voto a maggioranza (19 sì, fra cui Italia, Francia e Germania; 8 no; e l’astensione britannica) ha deciso di imporre dazi sulle importazioni di laminati di acciaio inossidabile provenienti da Cina e Taiwan (24,4% e il 25,3% sull’importazioni dalla Cina e fino al 6,8% da Taiwan).
Come reazione la Cina, per proteggere la propria economia, a partire dall'11 agosto scorso, per tre giorni di fila, ha svalutato lo yuan (moneta nazionale), complessivamente del 4,65% - pratica, tra l'altro, adottata negli ultimi mesi dalla BCE per favorire l'esportazione dei Paesi membri, nella misura di circa il 30%. E' scontato che la manovra monetaria adottata dai cinesi, stante la portata globale, non è passata inosservata ai potentati occidentali.
Negli ultimi tempi, il governo cinese era già stato pesantemente criticato da molti media europei e statunitensi per essere intervenuto sul mercato azionario del suo Paese dopo il crollo degli indici di Shanghai e Shenzhen. Quello cinese è un mercato finanziario ancora molto giovane, limitato tanto che il suo volume complessivo equivale appena al 40% del PIL, di contro a volumi prossimi o superiori al 100% del PIL, come quelli dei mercati finanziari occidentali. La Banca del Popolo (banca centrale), controllata dallo Stato, ha sospeso diversi titoli in netta difficoltà e ha immesso liquidità per dare ossigeno agli investimenti. Un'azione di bassa entità, se paragonata alla super-manovra che la Fed statunitense operò sul mercato bancario nordamericano nel 2008 per salvare i "too big to fail". Eppure, tanto è bastato ad alcune firme importanti anche del nostro giornalismo per gridare al "dirigismo" e alla lesa maestà del "libero mercato".
Non è difficile capire come i potenti gruppi investitori europei e statunitensi abbiano reagito, non dopo i primi caotici segnali dati dalle borse nel mondo, ma quando i mercati internazionali, i cui attori principali sono investitori privati dotati di enormi liquidità, hanno dovuto prendere atto che l'operazione era dovuta a un diretto intervento sull'economia da parte di uno Stato che rappresenta la seconda economia del pianeta.
Un fatto apparentemente estraneo alle faccende economiche ha colpito la Cina proprio negli stessi giorni. L'esplosione di un fabbricato nell'area portuale di Tianjin, uno dei quattro principali porti del mondo, ha provocato una catastrofe di vaste proporzioni e gravissime conseguenze, ancora tutta da interpretare. Il drammatico incidente (se di un incidente si è trattato), che ha sprigionato sostanze chimiche nell'area coinvolta, ha fatto così del 13 agosto scorso un giovedì nero per la Cina. Sebbene si tratti probabilmente di una tragedia accidentale, resta il fatto che la tempistica degli eventi lascia sul tavolo anche ipotesi diverse ben più inquietanti, come quella di un attentato, per dimensioni e proporzioni, senza precedenti in Cina. Saranno le indagini interne a dissipare i dubbi sul tragico accaduto, ma per ora niente è da escludere.
Redazione Ufficio Stampa Estero Agenzia Stampa Italia