(ASI) «Non sono sorpresa dall'esito del voto. Ora è evidente che la costituzione non potrà essere cambiata se i militari non lo vogliono».
Queste sono state le parole del premio Nobel per la Pace nel 1991 e politica della Birmania Aung San Suu Kyi, dopo che il parlamento birmano ha votato contro gli emendamenti alla costituzione che avrebbero impedito ai militari di mantenere il potere di veto. Di fatto è stata annullata la possibilità della leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi di essere eletta presidente. Infatti tra gli emendamenti che non sono passati era presente quello che annullava l'articolo che vieta «a chiunque sia sposato con un cittadino straniero o abbia figli con passaporto estero» di presentarsi alle elezioni per la presidenza della Repubblica del Myanmar, nome dato dai generali al potere. La proposta ha avuto 388 voti favorevoli su 664 membri del parlamento, non riuscendo quindi a superare il 75 per cento necessario per l'approvazione degli emendamenti alla costituzione che la giunta militare aveva promulgato nel 2008.
Quali erano le modifiche proposte? La prima cancellava di fatto il potere di veto dei militari, prevedendo di abbassare la soglia necessaria per approvare le modifiche alla costituzione dal 75 al 70 per cento, una modifica che avrebbe aperto la strada ad altri emendamenti successivi. La seconda, appunto, prevedeva di cancellare il divieto a chiunque fosse sposato con uno straniero o avesse figli cittadini di paesi stranieri di candidarsi alla carica di presidente. Si trattava di una norma ad personam per impedire la candidatura di Aung San Suu Kyi, vedova di un cittadino britannico e madre di due figli con il passaporto di Sua Maestà, una donna che ha dedicato una vita intera alla lotta politica contro la dittatura militare per la quale ha vissuto in segregazione per ventidue anni.
Ma la speranza è ancora viva nel leader dell'opposizione, sicura che questa volta il voto potrebbe pendere a favore dell'opposizione, la Lega nazionale per la democrazia. Che ci sia giustizia o no, la strada della democrazia in Birmania è ancora lunga.
Guglielmo Cassiani Ingoni – Agenzia Stampa Italia