(ASI) 500 giorni di crisi politica e sociale, 24 anni di crisi economica, déjà vu per un conflitto che rispolvera tensioni di quasi 50 anni di guerra fredda. Se nulla cambia tutto invece è ora diverso per un'Ucraina che vive una primavera di inarrestabili gelate invernali.
Gli eroi della rivoluzione come Arseniy Yatsenyuk, coloro che hanno combattuto e vinto il potere di Victor Yanukovich, sono ora minacciati dai nuovi ribelli che il loro stesso successo elettorale e politico ha prodotto. Le province di Donetsk e Luhansk situate nel profondo est del territorio ucraino sono sulla scacchiera del Cremlino l'ultimo baluardo che salvi il presidente russo Vladimir Putin dall'adesione di Kiev alla Nato, quella stessa città che quasi con gioia aveva accolto i golpe interni allo stesso governo di Yulia Tymoshenko, la leader dai celati bisbigli con la CIA e dalle irrefrenabili bramosie occidentali, colei che può ora godere della protezione di uno degli avvocati più solidi e in voga del momento, Amal Alamuddin, meglio conosciuta nella cronaca rosa come Mrs Clooney. Un "big mess" direbbero gli stessi statunitensi per il quale si trova in prima fila il presidente ucraino Petro Poroshenko in una miscela politica ben più complicata di quella latte e cacao che lo ha reso celebre nel mondo della cioccolata. Ora che al rovesciamento di Yanukovich è sopraggiunto l'addio della Crimea e la vittoria schiacciante di tutte le forze politiche, perfino pseudo fasciste, che vedono nella Mosca di oggi resuscitare gli spiriti dei totalitarismi del passato, inevitabile risulta lo spirito di abnegazione del leader separatista Pushilin e dei suoi sostenitori armati.
Irina Naumeti e Nadya Kalachova lavorano, studiano e collaborano con diverse testate cattoliche locali e come esponenti di Leopoli, città europeista e liberale, occidentale e religiosa, hanno poco da perdonare a Vladimir Putin. "Non è un caso che perfino il mondo ortodosso abbia rotto con la chiesa di San Pietroburgo e che Papa Francesco sia stato più volte costretto a mediare. Con democrazia o estremismo, eccessi o moderazione, Kiev merita la propria libertà, quella espressa dai trattati internazionali attraverso il principio di autodeterminazione dei popoli. L'economia a volte può contare poco di fronte al prezzo della libertà".
Evidentemente tali interessi sono ben diversi dai calcoli dell'Occidente. Dalla stessa Italia "filorussa" che, ufficiosamente, pur di non perdere contatti e contratti, a detta, questa volta ufficiale, di Lady Pesc Federica Mogherini e del ministro degli affari esteri Paolo Gentiloni non invierà armi a Kiev, estrema soluzione già valutata ampiamente dall'intelligence Usa. Se l'Ucraina mantiene il punto al costo di migliaia di morti e del costante fratricidio degli ultimi mesi, uno tra i tanti l'ultimo attacco alla stazione degli autobus a Donetsk, la Russia dell'ultimo ventennio continua con ogni mezzo a preservare i propri confini e gli Stati Uniti cercano un modo per minare questa nuova cortina di ferro. Naturalmente il Congresso repubblicano con la quale si confronta il presidente democratico Barack Obama è disposto a concedere molto poco ai rivali russi, sebbene la luce della speranza di Minsk sia una benedizione nella disgrazia. A dispetto di ogni stallo UE, le sue principali potenze, Germania e Francia, si sono mobilitate con misura e tempismo per una soluzione diplomatica. Su tutti nella capitale bielorussa e poi volando fino a Washington nell'arco di tre giorni, Angela Merkel, il cancelliere tedesco che, dopo dieci anni di governo nella completa solidità politica del proprio Paese, vuole ora tessere i bandoli delle principali matasse della politica internazionale. Germania e Francia hanno infatti preparato nell'ultimo summit di 13 ore con Russia e Ucraina un documento in dodici punti che dovrà essere sottoposto a Putin e Poroshenko. Se Obama è occupato dal Medio Oriente dell'Isis, Putin visita il Cairo con grande sfarzo e benvenuto del generale Al Sisi e i leader europei fanno i conti con le lacune del debito greco del quale non avranno più i mai promessi ritorni da Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis, l'unica luce sul palcoscenico riflette il carisma della Merkel, di colei che l'austerity la fa funzionare, di colei che non ha problemi in casa e di colei che, quasi con cieca ambizione, tenta di sciacquare in trasferta gli unti e opachi panni sporchi degli altri.
Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia