Da anni è uno degli analisti più consultati, avendo riscosso grande successo grazie a pubblicazioni quali
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Rimandato a settembre Dopo aver bocciato senza appello la politica estera di George W. Bush, definita addirittura “catastrofica” nelle pagine del suo
Second Chance, a cinque anni di distanza dal primo trionfo elettorale anche Barack Obama finisce sulla graticola dell’analista. Il giudizio critico non assume certo le proporzioni di quello sul suo predecessore, tuttavia Brzezinski si domanda: “Perché abbiamo improvvisamente deciso che la Siria dovesse essere destabilizzata e Assad dovesse essere rovesciato?”.
Secondo Brzezinski, alla fine del 2011 i focolai di rivolta causati dalla siccità in alcune regioni della Siria “furono spalleggiati da due note autocrazie: Arabia Saudita e Qatar”. Secondo lo stratega, Obama avrebbe assecondato le posizioni di questi due paesi senza che vi fossero apparenti presupposti in base ai quali il regime siriano stesse per crollare.
Altra mossa inspiegabile per Brzezinski è quella adottata durante la primavera del 2012 dalla Cia, allora diretta dal generale Petraeus, finalizzata “ad alimentare i piani sauditi e qatarini, legandoli in qualche modo agli interessi turchi”.
L’analista chiede dunque chiarimenti ad Obama in merito alle modalità e, soprattutto, alle finalità della politica degli Usa nei confronti della Siria. Secondo la sua chiave di lettura, a differenza di altri interventi statunitensi a supporto di fazioni ribelli come in Nicaragua nel 1980 o in Afghanistan nel 2001, dove il rischio di un allargamento del conflitto su vasta scala sarebbe stato relativamente contenuto, la destabilizzazione della Siria comporterebbe maggiori rischi di contagio verso altri paesi come la Giordania ed il Libano, oltre al fatto che l’Iraq potrebbe trovarsi al centro di un aperto conflitto tra sunniti e sciiti, trascinando Washington in una inevitabile spirale contro con l’Iran.
Benzina sul fuoco In questo scenario l’effetto domino mediorientale che i neoconservatori ricercarono intervenendo in Iraq nel 2003 è, secondo Brzezinski, un obiettivo ancora più volatile ed è ormai tenuto in considerazione soltanto dalla destra israeliana, che ritiene la destabilizzazione di tutti i suoi vicini arabi un migliore scenario per gli interessi di Tel Aviv. In questo modo, però, l’influenza degli Usa nella regione sarebbe lentamente erosa ed Israele si ritroverebbe isolata in mezzo a paesi incendiati dal radicalismo islamista.
Brzezinski invita dunque alla prudenza e chiede di non limitare il confronto internazionale sulla Siria solo a Stati Uniti, Russia e a due ex potenze coloniali malviste in Medioriente come Gran Bretagna e Francia. Propone invece di estendere il confronto anche a Cina, India e Giappone, senz’altro interessate a stabilizzare la regione a partire da una pacificazione concordata in Siria attraverso nuove elezioni politiche.
Rivedere i piani L’autorevole parere dell’analista nordamericano apre spunti di riflessione interessanti anche alla luce della caotica situazione egiziana e delle rivolte in Turchia contro il partito di governo. Rispetto alla destituzione di Mohammed Morsi, il vicesegretario di Stato americano William Burns ha recentemente sottolineato l’equidistanza di Washington sia dai militari golpisti sia dalla Fratellanza musulmana, chiedendo soltanto il rilascio del presidente esautorato. Appena più decisa la posizione statunitense rispetto al primo ministro turco Erdoğan, dal quale si è pretesa la cessazione delle repressioni dopo i disordini di alcune settimane fa ad Istanbul.
A conferma delle tesi di Brzezinski, l’incertezza con cui gli Stati Uniti si muovono nello scenario mediorientale evidenzia la mancanza di una linea strategica decisa e coerente. Tutto questo sta mettendo in crisi l’amministrazione Obama e la credibilità che aveva cercato di costruirsi di fronte al mondo islamico all’indomani delle primavere arabe.
fonte:www.affarinternazionali.it
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