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(ASI) «Apprezziamo molto gli sforzi della vostra leadership mirati a guidare la Birmania in una nuova direzione e vogliamo che sappiate che gli Stati Uniti faranno il possibile per aiutarvi su questa lunga e a volte difficile, ma in definitiva giusta strada». A parlare è Barack Obama in occasione dello storico incontro avvenuto lunedì scorso con l’ex generale Thein Sein, ora diventato presidente della Birmania (Myanmar). E’ il primo faccia a faccia in territorio statunitense in quasi 50 anni. L’ultimo incontro alla Casa Bianca risale al 1966 quando gli Usa incontrarono Ne Win.

 

L’arrivo a Washington di Thein Sein ha convalidato un percorso diplomatico iniziato due anni fa, dopo che il Paese del sud-est asiatico, secondo molti media occidentali, avrebbe attuato una serie «riforme democratiche». Riforme che, per molti analisti della situazione birmana, risultano solamente di facciata e sono servite come strumento di interessi strategici ed economici. «Sono fiducioso – ha continuato Obama - che se la Birmania seguirà questa ricetta, non sarà soltanto una democrazia di successo, ma anche una fiorente economia».

 

Nel corso dell’incontro alla Casa Bianca, l’ex-generale Thein Sein ha affermato di voler «continuare la strada delle riforme politiche, economiche e istituzionali ed il rilascio dei prigionieri politici». E a proposito dei prigionieri politici, Obama ha aggiunto: «negli ultimi due anni abbiamo visto un costante progresso in cui prigionieri politici, tra cui Aung San Suu Kyi, sono stati liberati e integrati nel processo politico».

 

Uno degli ultimi casi di «costante progresso» è sicuramente la storia del dissidente birmano Nay Myo Zin che, dopo essere stato liberato nel gennaio del 2012, è ora nuovamente stato arrestato per aver aderito a delle manifestazioni in favore di alcuni contadini che protestavano per l’esproprio delle terre nella cittadina di Pantanaw.

 

Thein Sein ha anche ribadito, se pur brevemente e al termine dell’incontro con Obama, il proprio impegno nel voler costruire «una identità nazionale maggiormente inclusiva». Tutte le etnie e le fedi religiose, «devono sentirsi parte di una nuova identità nazionale».

 

Intanto, però, prosegue anche la repressione dei soldati governativi contro le diverse etnie. A nord dello Stato Karen, dove dovrebbe essere costruita la diga Hat Gyi, sul fiume Salween, si registrano scontri a fuoco che hanno provocato alcune vittime e la fuga di numerosi civili. Molto probabilmente la colpa del popolo Karen è quella di battersi da oltre sessant’anni per la difesa della propria terra e delle proprie tradizioni. Cosa che, come sappiamo, non va d’accordo con gli interessi strategici ed economici imposti dalla «democrazia» occidentale.

 

Fabio Polese – Agenzia Stampa Italia

 

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