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Elezioni Israele: il calo di Netanyahu e l'ascesa della destra religiosa

(ASI) All'indomani delle elezioni politiche, Benjamin Netanyahu si prepara a comporre il suo terzo governo. Nella campagna definita dai politologi come la più fiacca della storia di Israele, il leader della coalizione di destra Likud-Israel Beytenu non è, come tutti si aspettavano, il vincitore indiscusso. E l'affluenza alla urne, contrariamente alla preannunciata tendenza astensionista, è stata la più alta degli ultimi anni. Tutti i quotidiani israeliani dedicano la prima pagina alla severa flessione del Likud e alla vittoria del centro con Yair Lapid. Netanyahu, dicono, non è più il re.

Nella ripartizione provvisoria dei 120 seggi della Knesset, il duo dell'ultra destra Netanyahu- Avigdor Lieberman ha perso 11 seggi, e ne ha ottennuti 31. Kadima, partito centrista e sionista fondato da Ariel Sharon, primo nella scorsa tornata elettorale, scompare con 2 seggi. La sinistra labourista ha 17 seggi. L'anchorman televisivo Yair Lapid ha stravinto con 19 seggi per il suo nuovo partito centrista e laico Yesh Atid. La sinistra sionista Meretz vince 6 seggi, i comunisti di Hadash 4. Gli arabo israeliani delle liste Raam e Balad ottengono 5 e 3 seggi. I partiti religiosi occuperanno 11 seggi con Shas, movimento degli ebrei sefarditi, e 7 con il Giudaismo unito nella Torah.

Le coalizioni di destra e di sinistra si eguagliano così con circa 60 seggi a testa. La ricerca della maggioranza di Netanyahu si rivolgerà così alla grande sorpresa di destra di queste elezioni, il Focolare ebraico di Naftali Bennett.

Con un passato da consigliere di Netanyahu, e forte di 12 seggi, Bennett può pregustare un rilevante peso politico. Il suo palcoscenico potrebbe essere internazionale per il programma estremista. Bennett infatti rifiuta la concezione di uno Stato palestinese, ed insegna ai giovani sionisti a pensare una colonizzazione come se i palestinesi non esistessero. Storico difensore degli insediamenti con il movimento politico Yesha, orginario degli States e magnate dell'hi tech, Bennett viene dalla borghesia liberale e ha la pretesa di guidare un governo di stampo religioso. La cultura di destra poggia anche sulla sua passata membership nella Sayeret Matkal, la più prestigiosa squadra delle Forze di difesa israeliane.

Netanyahu, eletto Primo ministro dal 1996 al 1999, ha inaugurato una stagione di violenza senza pari. Nel periodo 2000-2008, detto della Seconda intifada, si contano circa 6400 palestinesi uccisi nella conquista di nuove colonie. Tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009 l'operazione terrestre ed aerea detta Piombo Fuso sulla striscia di Gaza conta 1400 vittime palestinesi e 13 israeliani. Il leader di Hamas Khaled Meshaal definì questi anni come la Terza Intifada. E'l'inizio del secondo governo Netanyahu con Lieberman ministro degli esteri. Da allora, aggressioni militari quotidiane fatte di omicidi di massa, arresti di minori, ingerenze negli aiuti umanitari come l'affaire turco Freedom Flottilla, l'embargo, hanno portato all'operazione detta Colonna di nuvole. Dal 14 al 21 novembre 2012 sono stati uccisi circa 180 palestinesi, in maggioranza ragazzi e civili della Striscia. Circa 60 palestinesi resteranno invalidi permanenti. La criminosa gestione del blitz, definita in sede internazionale come “un attacco all'umanità”, ha incrinato i rapporti di Israele con Barack Obama.

"Farò tutto quanto in mio potere per assicurare che essi non arriveranno mai ad uno stato": sono queste le parole di Bennett a riguardo rilasciate al The New Yorker. Prevede di annettere il 60 percento della Cisgiordania, e lasciare città arabe come Ramallah, Nablas, Jenin, all'auto governo sotto la supervisione di Israele. La linea verde che separa i due territori è, a suo dire, priva di significato.

Nel suo secondo mandato Netanyahu ha destabilizzato l'intero Medio Oriente con i suoi posizionamenti nel conflitto in Libia, nella Primavera araba, nei tentativi di colpo di stato in Siria, nell'accerchiamento militare dell'Iran. Già martedi 23 gennaio, all'indomani del voto, il suo pensiero è stato di “impedire all'Iran di dotarsi dell'arma atomica", assieme alla ricerca di una coalizione “più ampia possibile”.

Si apre così una stagione di compromessi per Netanyahu, reduce da una flessione della crescita economica di due punti in due anni. Ha fronteggiato anche una “primavera israeliana”, quando due anni fa 400mila giovani sono scesi in piazza a Tel Aviv contro il caro vita e la disuguaglianza sociale. Per l'Istituto Nazionale delle Assicurazioni, il 24.8% degli israeliani rientra nella soglia di povertà. In più, la Palestina è stata accreditata a fine novembre scorso come stato osservatore all'ONU. I temi sociali ed economici, e non la politica estera, hanno fatto la differenza fra Netanyahu e i suoi concorrenti. I centristi e Bennett hanno intercettato il malcontento sociale, mentre lui ha preferito puntare su un programma ultra liberista e sullo slogan “Un premier forte per una Israele forte”.

Ora, aspettando la nomina dal presidente Shimon Peres con una maggioranza risicata, dovrà dimostrare se è in grado di meritarsi questo titolo.

 

Maria Giovanna Lanotte – Agenzia Stampa Italia

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