(ASI) Gary Prado Salmon è stato scarcerato in Bolivia. Salmon è colui che disse al “Che”: “Non si affanni capitano, è la fine. È finita”, poco prima che Guevara venisse ucciso, dopo aver tentato vanamente di scatenare la rivoluzione “latina” e “terzomondista” nel Paese sudamericano, dopo aver girato il Mondo come un’icona, liberato con successo l’isola di Cuba dove è tutt’ora ricordato come il Padre della Patria e tentato anche in Africa, nel Congo belga.
La sentenza segue la decisone delle autorità del cosiddetto governo ad interim di Jeanine Anez, che pur essendo tale formalmente ha appena dichiarato che si candiderà alle elezioni, e la volontà del Ministro dell’Interno Arturo Murillo. Possiamo quindi dire che il nuovo governo boliviano, che ha destituito il primo Presidente indigeno del mondo e della Storia, Evo Morales, ha realizzato un proprio successo personale con la decisione di far uscire di galera un uomo reputato colpevole, sino a ieri, della morte di un Eroe.
Intanto, nel Paese sarebbero in atto i prodromi (prodromi che causano vittime innocenti) di un bizzarro e antimoderno “Genocidio antisatanista” che coinvolge la popolazione amerindia, andina e indigena, accusata di pratiche neopagane “legalizzate” nell’ultimo decennio dall’aymara Morales, che aveva equiparato i culti del proprio Popolo e spinto per altre iniziative particolarmente audaci, come valorizzare l’utilizzo della foglia di coca, riuscendo a far accettare pubblicamente i benefici scientifici di questa droga (intesa come pharmacos) persino all’argentino papa Bergoglio, ovviamente se utilizzata in modalità naturali e tradizionali, nonché il contrasto all’illegalità e alla criminalità che una simile politica non può che comportare, ovviamente.
Morales, un progressista particolarmente curioso e a tratti folkoristico, si era battuto anche per il riconoscimento dell’ipotesi Gaia, ovvero che la Madre Terra, come viene chiamata nei paesi andini (Cile; Colombia e Bolivia in particolare) sia dotata di un’anima. I golpisti sostenuti da Trump, ora al potere in Bolivia (benché Morales avesse registrato la maggioranza dei consensi alle elezioni nonché puntualizzato la positività di tutti gli indici legati al Prodotto Interno Lordo) e guidati dalla bionda Anez, accusano tutto questo di “satanismo” e affermano: “La Bibbia è finalmente tornata nel Palazzo del Governo”. Giurano infatti sul testo sacro dei cristiani, fanno sfoggio di dichiarazioni di fanatismo religioso da far (senza meno) impallidire ciò che nell’Islam avvenne con l’impropriamente detto Stato Islamico.
Che tempi sono questi? Forse alcuni punti di riferimento che vedevano Guevara in un simbolo sono venuti meno, negli ultimi 30 anni, e questi non erano perfetti e ciò è stato appurato dalla gente comune. Ma il frutto di Ernesto Che Guevara de la Serna? Non ha portato forse, tra 2008 e 2011, la stragrande maggioranza del continente americano (dalla Groenlandia all’Argentina, passando financo per Obama) ad accettare una diversa visione continentale? Al punto che Hollywood lo omaggiava con le pellicole di Benicio Del Toro? E ora? Mentre il Cile e la Colombia sono in rivolta, in Bolivia si voterà il 3 maggio. Nel centroamerica non va meglio, Haiti nei Caraibi è attraversata dalla rivoluzione e il Messico disconosce il trumpismo attraverso strani giochi di potere, mentre il Presidente ha innalzato muri da far impallidire Berlino… solo le elezioni degli USA nel prossimo autunno, in una potenziale sfida tra il neo-liberista Trump (candidatura al limite di ogni legalità, per le leggi USA) e tra il neo-socialista Sanders (al limite di ogni tradizione americana a partire dalla Guerra Civile) potrà chiarire da che parte sceglie di stare questo continente alla deriva.
Una cosa è certa: dalle donne cilene stuprate, agli indios massacrati senza pietà, ai migranti latinos che perdono la vita (uomini, donne e minori) nel disperato tentativo di raggiungere il Messico, sembra quasi che il “martirio” del Che Guevara si sia ampliato al Continente che reggerebbe ancora, formalmente, il mondo. E che appare Roma all’avvento di Attila l’Unno.
Lorenzo Proia
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