Papa: da Tor Bella Monaca lettera aperta a Francesco per il 1° anno pontificato
(ASI) Roma - Santo Padre, mi permetto di scriverle una lettera aperta dal profondo di una periferia romana sempre più disagiata e disgregata: Tor Bella Monaca. Noi ci occupiamo di dare assistenza sanitaria, psicologica e materiale a quelli che possiamo considerare perfino dopo gli ultimi. Tante, troppe persone, che non hanno nemmeno il tesserino sanitario per farsi curare e non vedono speranza nel futuro. Ogni anno bussano alla nostra porta, in via Aspertini, 10.000 persone di cui il 70% sono giovani donne immigrate con i loro bambini. Queste persone non si rivolgono alle istituzioni perché hanno paura di essere cacciati via perché irregolari, di perdere i figli perché poveri e privi dei mezzi di sostentamento che lo Stato richiede per essere buoni genitori, paura di perdere un lavoro che assomiglia più alla schiavitù che ad altro. Su centomila persone viste in 10 anni, il 90% vive in condizioni subumane. Purtroppo il dato è questo e tende a peggiorare.

Anziani, soli o con figli disabili a carico, si rivolgono spesso al nostro servizio in cerca di cibo e farmaci. Ne arrivano circa 100 ogni anno, di cui la metà italiani. Il dato preoccupante, però, è che la prevalenza dei nostri assistiti sono giovani adulti tra i 20 e i 30 di età. Il 90% non ha lavoro regolare, vive in condizioni abitative precarie, come più nuclei familiari nella stessa casa, baracche di fortuna o in strada con bambini piccoli al seguito.

Dall’inizio dell’anno abbiamo effettuato 2.000 visite ginecologiche-ostetriche per sostenere le gravidanze in condizioni di fragilità e 1200 visite pediatriche per bambini che non hanno diritto al pediatra di base. Negli ultimi tre anni di lavoro ci siamo accostati in punta di piedi al disagio psichiatrico infantile che qui a Tor Bella Monaca è significativamente rappresentato e come in altre aree della città non trova le risposte necessarie al suo superamento. Per questi bambini, prevalentemente italiani, abbiamo realizzato un laboratorio di danzo-terapia che settimanalmente permette loro di ritrovare nel ritmo della musica e nei passi di danza l’armonia del cuore e della mente. Dall’inizio di questo anno abbiamo avviato un laboratorio psicoterapeutico di sostegno per genitori di questi piccoli, per ascoltare la sofferenza che sgorga dal cuore ferito di queste mamme e di questi papà e per aiutarli ad accompagnare i loro bambini nel percorso della malattia e della cura. La malattia non è l’unica criticità in questo territorio che ha il più alto indice di povertà di Roma: nelle famiglie manca il pane e molti dei nostri bambini sono denutriti. A Roma, come nei paesi più poveri del pianeta, molte persone sono cadute nella miseria e per questo da alcuni anni ogni mese distribuiamo a 150 famiglie, per un totale di 800 persone, pacchi viveri principalmente rivolti ai nuclei con bambini piccoli.

Ogni giorno vedo tanta sofferenza, miseria, solitudine, specialmente tra le donne e i bambini. Sono rimasta così avvinta da un dolore con radici tanto profonde che quasi è impossibile sradicare, da non poterne quasi più distogliere lo sguardo.

Nessuno di quelli che si sono presentati al nostro Servizio è andato via senza ricevere un aiuto, anche quando si presentavano al momento della chiusura dopo dodici ore di attività, sono stati accolti, ascoltati e curati.

Migliaia di volti si sono susseguiti nelle stanze di visita, racconti terribili sulla fuga dai loro paesi, di maltrattamenti ricevuti qui in Italia dove speravano di trovare un rifugio e la possibilità di una vita migliore. Pagine e pagine di dolore nelle nostre cartelle cliniche, quasi un’enciclopedia che raccoglie tutte le possibili declinazioni della sofferenza che l’uomo impone ad un altro uomo quando non lo riconosce come fratello, ma lo tratta da “diverso, straniero, clandestino, straccione”.

Quanta solitudine ho visto Santità, negli occhi intelligenti dei bambini sudici nei campi nomadi, negli occhi senza lacrime delle donne costrette a prostituirsi, negli occhi arroganti dei giovani arruolati dal crimine, ognuno solo con il suo peso, con le sue sconfitte.

Per questa solitudine non basta un intervento caritativo, anche se perfetto non basta.

A questa solitudine va data speranza che la vita anche quando sembra schiacciata dal male può risorgere.

Ma questo annuncio va dato con forza Santità, va gridato ogni giorno per raggiungere gli abissi gelidi e bui del cuore di chi soffre. Bisogna dare concretamente speranza a chi vive al margine che è possibile cambiare, risollevarsi, mettersi in piedi e lottare per una vita più degna.

Santità, venga Lei a dirglielo. Venga nelle strade, nelle piazze, nelle case, nelle baracche, venga in mezzo ai suoi figli. Venga tra le novantanove pecore senza ovile, venga a dargli una carezza.

Tornando a casa la sera dopo tante ore di lavoro mi sono sentita oppressa, sconfitta, umiliata e quasi discutendo con Dio ad alta voce mi trovavo a chiedergli “perché?” consapevole che qualsiasi intervento di cura fosse solo una goccia persa in un oceano di male.

La saluto con infinita stima.

Lucia Ercoli,

presidente dell’associazione

Medicina Solidale di Tor Bella Monaca

 



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