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Stan Tracy trio ed Herbie Hancock band: dalla classicità allo sperimentalismo

(ASI) Il concerto dell’Arena Santa Giuliana di ieri sera, sabato 7 luglio, ha osservato due forme di Jazz differenti. L’una tradizionale e ormai “classica”, l’altra più attuale, frutto di sperimentalismo e di una sintesi di alcune correnti  afferenti alla modernità od attualità del genere (anni ‘70, ‘90). 

Il concerto di apertura, in onore a Telonious Monk, “To Monk” appunto, è stato tenuto dal pianista inglese Stan Tracy (classe 1926), decano del Jazz anglosassone e figura storica del genere per l’isola. Il pianista è stato accompagnato in trio da Andrew Cleyndert al contrabbasso e Clark Tracy alla batteria. Il loro è un Jazz puro, della “classicità” e dove lo swing è preponderante. Il Trio, piacevolissimo e distensivo propone una forma espressiva da Jazz Club in cui il pianista esegue con una certa durezza, con poche sfumature sonore ed è assecondato da una ottima batteria e da un ottimo contrabbassista; ricchi di tecnica, i musicisti,  dimostrano una grande raffinatezza musicale e padronanza degli stilemi del Jazz tradizionale. Il Trio molto equilibrato, bilanciato e maturo, propone una ritmica non esasperata, esegue con grande compostezza, senza eccessi, ma senza rinunciare a una ottima tecnica soprattutto della sezione ritmica, rendendo sempre distinguibili per intero  linee melodiche. Nel proporre “Round Midnight” affascinano, piacciono molto e si confermano veramente gradevoli. Menzioniamo il batterista che a nostro avviso si è dimostrato formidabile, senza dover ricorrere a circensi, funambolici e  spesso solo coreografici tocchi. Eccellente il contrabbassista, che agevolato da uno strumento eccezionale dotato di suono rotondo e degno di essere impiegato nelle grandi orchestre sinfoniche, ha dimostrato, in almeno due assoli, inventiva, maturità, espressività e sensibilità musicale. Belli sono stati pure gli scambi e i dialoghi tra il contrabbasso e il pianoforte. Non è mancato uno spazio dedicato al Blues con un tocco di attualità acustica e di aperture armoniche tonali, sebbene il suono del pianoforte sia restato duro, abbastanza sforzato e secco.

Un buon risultato quindi, ottenuto grazie a tecnica e compostezza che ha permesso oltre 50 minuti consecutivi di concerto gradevole, caratterizzato dal piacere timbrico e da quella piacevolezza raggiunta senza ricorrere allo sperimentalismo. Ricordo a tal proposito un concerto del tutto simile ascoltato due anni fa esatti al Blu Note di New York, da un trio molto più giovane e comprendo solo ora come esista ancora oggi una consistente fetta di pubblico che ami la rilassatezza e la comprensibilità di un Jazz elegante, immediato e soprattutto non stressogeno. Una nota negativa va segnalata, il concerto, sebbene sia stato molto rilassante, ha determinato la sensazione di poca vitalità, scarsa dinamicità e in certi momenti di stanchezza.

Si cambia stile ed atteggiamento invece nel secondo tempo, con Herbie Hancock e la sua Band composta da James Genus, Trevor Mawrence, Lioned Loueke, un quartetto di batteria, basso e chitarra elettrici ed Hancock alle tastiere e pianoforte. Si complimenta per la scelta del pianoforte Fazioli, ma esegue molto anche su un sintetizzatore Korg Kronos e da una tastiera sintetizzatrice portatile AX Sinth della Roland, amplificatori tra gli altri Fender e Roland. Grosso l’apparato computeristico per la elaborazione dei suoni e anche della sua voce. Si tratta di tutt’altro genere rispetto al precedente tempo, con musica di natura prevalentemente elettronica, di sintesi appunto e rielaborata in cui Disco, sonorità anni Settanta e Ottanta, Free Jazz, Funky, Fusion e accenni Afro hanno costituito l’essenza della intera esibizione. Più che sperimentalismo a mio avviso si è assistito ad un “sunto della sperimentalità” ad una meta-sperimentazione in cui la riproposizione di esperimenti e la modifica degli stessi a distanza di tempo è stato il filo conduttore.   Come ricorda la biografia ufficiale sul sito di UJ 2012 il musicista possiede: “…una bella collezione di Grammy ed un Oscar per la musica del film francese Round Midnight. Herbie Hancock non ha mai avuto della musica un’idea banale ed è considerato un intellettuale del jazz moderno, uno che ama pensare per progetti: i new standards ripresi dall’universo pop, la celebrazione del mondo di George Gershwin, i 75 anni di Miles Davis e John Coltrane, un disco di canzoni e altrettante star (da Paul Simon a Santana) solo per ricordare i più recenti.

Per Davis, del resto, Hancock era il gradino successivo a Bud Powell.
Dopo Herbie, diceva Davis, non è più venuto nulla di nuovo. Ancora meno sono quelli che hanno saputo come lui coniugare qualità e successo commerciale, se pensiamo alla grande stagione del jazz elettrico e del Funky, di cui Hancock fu maestro e campione di incassi. Un artista che non mai seguito le mode, anzi che le ha governate”. L’attualità è molto forte ed è percepita dal pubblico che è molto coinvolto dalla esecuzione. L’approccio è effettivamente molto intellettuale, caricato dall’uso delle numerose dissonanze, di forti momenti atonali e dalle manipolazioni acustiche. La sua esecuzione pianistica è precisa, nitida, permettendo di sentire ogni nota andando al fondo dei tasti. Il concerto è raffinato, logico a volte stancante. Molto vitale e coinvolgente nel complesso il risultato ottenuto. Bravissimo il criptico chitarrista, che si è esibito in un assolo caratterizzato dai curiosi, tribali, ferini vocalizzi. Bravissimo il bassista e molto bravo il batterista dotato di grande potenza, varietà ritmica e timbrica. Il gruppo mantiene la tensione esecutiva e l’attenzione del pubblico fino alla fine. Grande varietà ritmica e forti distorsioni acustiche hanno costituito il sottofondo di tutto il secondo tempo soprattutto durante i lunghissimi dialoghi, duetti, condotti tra Hancock e i singoli membri della band. Quello che piace dei duetti è il fatto che il capogruppo permetta di esprimersi molto agli altri componenti della band fornendo egli lo spunto sonoro e addirittura ritmico. I duetti tra capogruppo e componenti inoltre sono tutti molto omogenei (aritmicamente e melodicamente) fornendo una sensazione di grande coerenza e intelligenza.   Bello e a tratti dolce e romantico il momento volcalism di Hancock che fa dimenticare il concettualismo che impernia il suo progetto e che si fonda suo panismo più vicino alla musica colta contemporanea occidentale che al Jazz, sulla deformazione sintetica dei suoni, sugli echi e che fa uso inevitabilmente di imponenti strutture elettroniche. Suggestioni e quindi più che una bellezza assoluta.

8-7-2012, Giuseppe Marino Nardelli – Agenzia Stampa Italia

 

Foto: G. Belfiore - http://www.umbriajazz.com/

 

 

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