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Concerto Inaugurale di Umbria Jazz 2012
ARENA SANTA GIULIANA, VENERDI 6 LUGLIO, CONCERTO INAUGURALE DI UMBRIA JAZZ 2012:
Stefano Bollani, Chick Corea ed Hamilton De Holanda tra suoni colti atonali e musica popolare melodica

(ASI) Scendendo giù dal Corso alle ventuno esatte di sera alle spalle lascio un attacco swing perfetto di un pianista molto bravo, dal suono maturo e rotondo, appartenente ai Doctor Dixie “60th Anniversary” Band e arrivo in un’Arena quasi completa in cui dopo poco viene salutato il pubblico ufficialmente, riassunto il principale calendario dei concerti e ricordato Gil Evans. Il concerto avvia quasi subito con il pianista Stefano Bollani che esegue su uno strumento Fazioli e che proietta il pubblico in una atmosfera colta, legata con evidenza agli impressionisti francesi come Debussy. I due sembrano immediatamente voler dare una “lezione” a Keith Jarret, procedendo su livelli alti di panismo, interpretativi e di standard. L’atmosfera è surreale, la atonalità è predominante, l’esecuzione procede per cromatismi ed è forse grazie a ciò che gli artisti conferiscono riflessività al pubblico e trasmettono bene la concettualità del loro pensiero musicale. Si ascoltano innumerevoli spunti ed emergono tante citazioni che grazie al loro buon affiatamento librano il jazz verso sfere musicali diverse, forse quelle di un nuovo genere? Oppure solo quelle di un sunto mastodontico, di una matura enciclopedica rielaborazione? È tutto un sottilissimo recondito richiamo, riutilizzo musicale. L’impasto sonoro che emerge dal duo è indubbiamente affascinante e come detto intellettuale pur non sacrificando ponderati sprazzi tonali e melodici. Con un approccio forse poco ammiccante ricordano lo sperimentalismo degli anni Settanta che proponeva Stockausen alla Chigiana.
Armando Anthony Chick Corea (nato nel 1941 a Chelsea, Massachussetts) si conferma un caposcuola del panismo jazz, eseguendo con compostezza e con la imprescindibile “semplicità” dei maestri, facendo emergere senza inutili dimenamenti un tocco superiore ottenuto senza sforzo, con morbidezza e andando al fondo dei tasti. Ricorda Art ed è velocissimo. Al terzo brano Chick Corea lavora da solo al pianoforte ed è subito un “classico” dove tutto è perfetto, ha senso e niente è banale. Poi attaccano di nuovo insieme e i tecnicismi musicali ben gestiti da parte di entrambi regalano “primavere sonore”. Sono indubbiamente molto omogenei e ben assortiti anche se siamo lontani dall’affiatamento del Gershwin ascoltato molti anni fa a Perugia dalle Sorelle Labèque. Nel procedere del concerto propongono oltre al buon concettualismo e al tradizionale percuotimento del pianoforte anche un jazz più conosciuto suonato attraverso fraseggi brevi e una incessante spintissima ritmicità. Apprezzabile il parco uso del pedale di Bollani, così come un suo basso ostinato, frutto di una consapevole forma di pedale armonico, tutto uguale ed uniforme. Bollani e Chick sono in grado di fare emergere benissimo la melodia pura, mai melensa, regalando un concerto intenso e sinceramente emozionante. Riescono a dare idea di orchestralità e chiudono i brani sempre con studiata precisione. Il concerto poi transita attraverso un eclettico originale trio quello dei due pianisti con il mandolinista De Holanda, in cui Chick si ritrae per lasciare sempre più spazio a Bollani. Sarà quest’ultimo che insieme al mandolinista Hamilton De Holanda farà mutare genere al concerto nel suo complesso, poiché nel secondo tempo è invece la melodia e la tonalità dell’esecuzione che prenderà ampiamente piede. Il trio insolito fornisce sonorità fuori dell’ordinario complice la scelta di avere eseguito musica spagnola. Forte emerge il tango e tutta la grande scuola di compositori spagnoli del primo Novecento (mi sovviene subito Grandos, Turina e forse anche De Falla, nei confronti dei quali si sono confrontati anche musicisti illustri come l’italiano Busoni). Un bis di transizione pirotecnico dal punto di vista emozionale ed acustico.
Virtuosismi non mancano neppure nel secondo tempo, ma l’approccio al pubblico è ormai mutato, più vicino, meno intellettuale, più popolare. Un evoluto “pianobarismo” che sfrutta melodie e canzoni notissime a guisa di standard, tratti dalla musica da film di Morricone (“Nuovo Cinema Paradiso”) dalla tradizione brasiliana (dagli anni Trenata a salire) dalla canzone italiana e napoletana (“Reginella”). Una considerazione va fatta: Bollani riesce grazie ad una tecnica di matrice classica e ad un suo solidissimo personale linguaggio jazz ad eseguire a trasmutare ogni cosa in jazz puro. È il suo acquisito robusto linguaggio Jazz, arricchito dal suo gusto per la musica brasiliana, che gli permette di leggere e riproporre efficientemente ogni linea melodica in chiave jazzistica. Il duo mandolino e pianoforte afferma il raggiungimento di grandi sprazzi melodici, di ampie aperture armoniche. Evidente è l’affinità esecutiva tra i musicisti (forse maggiore di quella mostratasi nel precedente tempo), spiccata e meravigliosa è stata la ritmicità. Non esiste conflitto sonoro tra gli strumenti, anzi affiancati raggiungono una perfetta compenetrazione acustica. Il mandolinista Hamilton De Holanda (nato a Rio de Janeiro nel 1976), che tecnicamente esegue su un bandolim a dieci corde, è mirabile così come il suo gusto e sensibilità; quasi dimentico delle origini brasiliane (esce infatti dalla scuola di Jacob do Bandolim) sembra più provenire da una matrice europea o addirittura italiana, emancipando e attualizzando il Choro di origine. L’approccio ai brani del duo è sia travolgente che al bisogno delicatissimo (inizio del secondo tempo). Da brivido la splendida esecuzione del “tema di Elena” di Morricone. Tema e autore rispettati, espressione nitida, non sovraccarica, di rara bellezza. La loro musica brasilian-jazz e Choro, nel complesso è immediata, raggiunge bene il pubblico che ne è entusiasta, che applaude molto e richiederà due bis (l’ultimo bellissimo: “Beatrice”) grazie anche ai popolari ritmi ricchi di controtempi, che ternari, si complicano in una tarantella. Presente nel secondo tempo del concerto una citazione a Baden Powell (1937-2001, che il padre chiamò così in onore del militare inglese Sir. Baden-Powel padre dello scoutismo), sensibilissimo compositore e chitarrista jazz brasiliano, noto anche per “Samba Triste” (del 1956) e per Retrato Brasileiro.

7-7-2012, Giuseppe Marino Nardelli – Agenzia Stampa Italia

Foto: http://www.umbriajazz.com/

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