La medicina difensiva, e cioè quella tendenza dei medici a prescrivere più esami, visite e farmaci del necessario per scongiurare eventuali procedimenti giudiziari e richieste di risarcimento da parte dei pazienti, costituisce un tema sempre più alla ribalta negli ultimi anni.
La relazione di fine legislatura presentata a gennaio 2013 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori ed i disavanzi sanitari della Camera dei Deputati ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica numeri preoccupanti: l’incidenza dei costi della medicina difensiva sulla spesa sanitaria nazionale è del 10,5%. Stiamo parlando di un costo per lo Stato di 10 miliardi di Euro, pari allo 0,75 del PIL.
Il fenomeno è diffusissimo. La pressione che i medici avvertono nello svolgimento della loro attività è molto forte, e ciò condiziona il loro approccio alla diagnosi ed alla terapia. La Commissione ha citato un’indagine condotta nel novembre 2010 dall’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Roma: i dati raccolti mostrano che il 78% dei medici intervistati ritiene di correre un maggior rischio di procedimenti giudiziari rispetto al passato, ed il 65,4% dichiara di subire una pressione indebita nella pratica clinica quotidiana a causa di questo rischio.
“In particolare – spiega Roberto Lala, Presidente dell’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Roma, tra i relatori della seconda giornata - un eccesso di “autotutela” da parte degli intervistati viene esercitato negli esami strumentali ( il 22% del totale vengono prescritti per abbondare in sicurezza), mentre gli esami di laboratorio e le visite specialistiche prescritte a titolo “difensivo” costituiscono il 21% del totale. Questi comportamenti – continua Lala - nascono come reazione di autodifesa da parte dei medici alla crescita del contenzioso legale in campo sanitario, e generano un sensibile aumento dei costi per il Servizio Sanitario Nazionale”.
La crescita del contenzioso legale, rileva la Commissione nella sua relazione, è legata al “manifestarsi, anche in Italia, di un nuovo indirizzo culturale e giurisprudenziale diretto a incrementare esponenzialmente il risarcimento del danno biologico ed esistenziale”.
“Ma spiegare il fenomeno della medicina difensiva col solo timore da parte dei medici di incorrere in procedimenti giudiziari – spiega Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, che ha aperto i lavori della prima giornata – è a mio avviso limitativo. La paura del contenzioso è solo la conseguenza ultima di una serie di elementi che condizionano l’agire del medico nei confronti del paziente: pensiamo solo alla profonda trasformazione professionale che si è avuta con il passaggio dalla classica figura del medico condotto, che si caratterizzava per un approccio paternalistico nei confronti del suo assistito, a quella del medico di base, oberato da obblighi di tipo burocratico e spesso minato nella sua autorevolezza nei confronti del paziente dal bombardamento di informazioni provenienti dai mass media.
Un paziente più informato e più consapevole – continua Cirillo – si trasforma in un vero e proprio consumatore di salute, con esigenze specifiche nei confronti del medico che portano ad una pressione maggiore su quest’ultimo e, di conseguenza a comportamenti spesso eccessivamente “difensivi” in fase di diagnosi e di terapia.”
Quali che siano le motivazioni, in tempi di spending review una tendenza di questo tipo diventa difficilmente sostenibile .
“Il contenimento della spesa pubblica è diventato negli anni un obiettivo assolutamente prioritario per il nostro Paese - spiega Giuseppe Pecoraro, Direttore Generale Policlinico – Università di Messina - e non si possono più sottovalutare i costi generati dall’eccesso di medicina difensiva: incidere sul comportamento dei professionisti della salute riducendo
questo fenomento avrebbe effetti nel medio periodo di gran lunga superiori alla spending review”.
Tra le tante e diverse proposte avanzate nel corso della “due giorni” di lavori: una maggiore attenzione alla formazione sul rapporto e la comunicazione tra medico e paziente, sia durante il corso di studi in medicina che, successivamente, attraverso lo strumento dei corsi ECM; la promozione del ricorso alla conciliazione in caso di errori medici; l’utilizzo di strumenti volti a monitorare la congruenza delle scelte cliniche; lo sviluppo di linee guida e raccomandazioni cliniche che definiscano l’approccio diagnostico più corretto e patterns clinici condivisi, evitando così ridondanze ed esami inutili.
Redazione Agenzia Stampa Italia
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