Ubu Rex
Da domenica 10 a mercoledì 13 giugno 2012
regia Enrico Casale
con Alessandro Cecchinelli, Sara Battolla, Davide Faggiani. Simone Biggi, Raffaele Briganti, Daniele Cappelletti, Ino Cecchinelli, Rossana Crudeli, Chiara De Carolis, Giovanni Franceschini, Emanuele Cucurnia, Paolo Turini
scenografie Alessandro Ratti e Officina Teatro De Carolis
luci Daniele Passeri
suono Andrea Cerri, Marco Oligeri
costumi Rossana Crudeli, Davide Faggiani con Cristiana Suriani
trucco Elisa Fialdini
segretaria di produzione Sara Navalesi
(ASI) La farsa grottesca di Alfred Jarry, considerata anticipatrice del surrealismo e del teatro dell’assurdo, testo fondamentale del teatro contemporaneo, messa in scena con vitalità ed entusiasmo dalla giovane Compagnia degli Scarti, di Padivarma (provincia di La Spezia), per la prima volta a Milano, da domenica 10 a mercoledì 13 giugno, al PimOff, con il suo lavoro più apprezzato, dopo il debutto a Kilowatt Festival 2011.
In una scena in perenne movimento, dodici attori, in attillata tutina nera, tra demenzialità pura e canti gregoriani, si battono per la presa al potere dell’improbabile gerarca Padre Ubu, affetto da una forsennata bramosia di conquista, frustrato e innamorato di suo madre, capace di ordire una congiura contro il re Venceslao – di cui è ufficiale di fiducia -, per poi abbandonarsi a efferati delitti, stragi, e tutto ciò che ne consegue.
Una storia di sempre, che ci riguarda, una riflessione sul potere, sulla sua ferocia, sulla sua banalità, sulle sue derive, in un disordinato ed esilarante gioco al massacro, tra rombi di elicotteri, sciabole rosse e fucili giocattolo.
Su un tappeto nero - capace di rappresentare il mondo intero - esattamente riprodotto da un fondale che lo replica a specchio, personaggi crudeli e ridicoli, indifesi come mimi incapaci, fantocci in balia del destino, bramosi di potere, ricchezza e gloria che si rivelano, nell’interpretazione degli Scarti, come corpi affamati e deformati dallo stesso dramma, nudi nelle loro tutine aderenti.
A guidare i dodici attori, sempre a vista - tutti, tranne Ubu, in grado di entrare e uscire liberamente dallo spazio scenico - in un crescendo anche scenografico, c’è la regia di Enrico Casale, che abbandona ogni strada naturalistica, disarticolando gli attori dai compiti di introspezione psicologica, per consegnarli a un ritmo calibratissimo di corpi e movimenti in un incessante susseguirsi di sequenze.
Un’opera attraverso la quale Jarry predice grandi dittature e dimostra con
ironia estrema l’amara realtà di un mondo che teme la rivoluzione a tal punto da perseguire
l‘estremo desiderio di schiavitù ma che nasconde anche una preghiera ad una possibile entità sovversiva, capace di capovolgere il mondo seguendo i canoni della Patafisica, attraverso la quale la percezione umana non appare più condizionata da fenomeni decifrabili in modo univoco.
Nel finale, ridondante e barocco, tutto il mondo di Ubu, in una scena ricolma di oggetti, sarà teatralmente risucchiato dallo stesso fondale.
Perché Ubu?
Perché c’è l’urgenza di riflettere attorno al tema del potere, sulle sue forme, i suoi abusi e le sue banalità, nel contesto della nostra contemporaneità.
Perché la pièce di Jarry, nonostante sia del 1896, è ancora oggi un dispositivo eversivo, nel linguaggio e nella struttura drammaturgica, utile alla rappresentazione dello spirito del nostro tempo.
Perché quella dell’Ubu Re è una storia che ci permette di parlare dell’oggi senza inserire esplicitamente la realtà del nostro mondo.
Perché Ubu è anche altro: un bambino adulto, perverso, polimorfo e fragile, manipolato dalla sua Madre-Moglie, e allo stesso tempo manipolatore della sua corte e del suo popolo. Carnefice egoista e vittima del proprio ego, che trasferisce la sua natura di marionetta su un piano di riconoscibile umanità.
Perché Ubu è il primo sbeffeggiatore del potere che rappresenta, impedendo così qualsiasi forma di resistenza alla tirannia che va via via instaurando.
Perché permette di creare un gioco collettivo e corale, che non si spegne mai. Anche se ruota attorno a poche figure, riesce a dar vita ad un mondo autonomo, in cui tutti gli attori, figli e complici della società da loro stessi creata, esistono solo grazie alla loro fatica fisica e alla loro voce.
Perché nel signor Ubu, gli Scarti hanno visto un megafono per poter parlare della contemporaneità,in un paese dove sta sempre più prendendo campo un tipo di teatro che si appiattisce sui tempi e sui modi della televisione.
E la televisione, mai come oggi, è il potere.
Enrico Casale
Uno spettacolo vitale, diretto, compatto che trasuda entusiasmo e maturità nelle scelte. Colpisce la capacità che gli attori hanno di assecondare le voglie registiche, sempre tenendo un ritmo alto, che avvince e non stanca mai. E furbo è il regista a uscire dalle pastoie del naturalismo, disarticolando gli attori, nessuno professionista, dai compiti di introspezione psicologica, per consegnarli a un ritmo calibratissimo di corpi e movimenti di cui è bravo a tessere le fila.
Roberto Rizzente - Hystrio
Il nutrito gruppo - dodici attori pieni di coraggio e vitalità -, tiene un ritmo denso e offre uno spettacolo divertente e vivace. L’attillata tutina nera che tutti indossano rimarca bene la “giusta distanza” in cui si pone il corpo dell’attore: nudo, intonso, pronto di volta in volta a indossare il personaggio di turno. Tutto accade e si svolge in scena, niente è nascosto agli occhi degli spettatori, tutto è visibile e dichiarato. Colpiscono i movimenti di gruppo, centrifughi e centripeti, ben strutturati, e un uso sapiente dei pochi oggetti scenici, che dona movimento e ritmo a, delle luci e delle musiche.
Marco Menini - KLP
Ubu Rex per gli Scarti è una condanna senza appello alla falsa integrità morale, alla corruzione conclamata ma non perseguitata, alle ingiustizie legittimate e ai compromessi tollerati.
Tra parate militari e affermazioni di ingiustizia da declamare al popolo come perle di saggezza, Ubu Re e Madre Ubu ingoiano in un sol boccone le anime e un lavoro scattante, vivo e con poche pause, grazie a una regia che trova forza nell’ausilio dei costumi i territori, perché tutto è oggetto di conquista.
Anna Maria Monteverdi, Ateatro
E’ la rappresentazione del potere e delle sue più ingiuste deformazioni, talmente distorte da essere reali, ma per Casale è anche un potente con l’esile corpo da adolescente che si prepara alla guerra con un’armatura bianca che sembra una zucca, la spada di plastica in una mano e un palloncino a forma di cavallo nell’altra, surreale destriero di un uomo tanto assetato di potere quanto ridicolo.
Andrea Pocosgnich – Teatro e Critica
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