La Peste Antonina provocò la crisi dell'Impero Romano

1920px Column of Marcus Aurelius detail3 (ASI) Roma - L'Impero Romano è entrato in crisi a partire dal III secolo a causa della Peste Antonina che in massa colpì le province dell'Impero e la città di Roma stessa dopo il ritorno nel 166 d.C. dell'esercito dalla vittoriosa campagna babilonese seleucidicx


Nella prima parte del II secolo Roma con Traiano nel 117 d.C. raggiunse l'apogeo della sua potenza imperiale, ma sotto il seppur positivo governo dell'Imperatore Filosofo Marco Aurelio dal 161 d.C al 180 d.C. furono minate le basi della solidità imperiale a causa dell'epidemia di peste (detta "Antonina" dalla gens imperiale) che scoppiò e decimò la popolazione, causando penuria di uomini abili al lavoro nei campi e all'arruolamento nell'esercito.
La peste arrivò a sterminare fino al 93% della popolazione in alcuni centri urbani. Nella sola Roma si parla addirittura di 2 mila decessi al giorno.
A testimonianza della gravità dell'epidemia, dal 167 al 180 non ci sono pervenuti pressoché nessun diploma di congedo dall'esercito romano, e le epigrafi sono diminuite del 40%.
Di questo tragico avvenimento ci sono per lo più delle testimonianze di storici romani postumi e se non ci fosse stata la Historia Augusta che raccoglie le biografie degli imperatori e degli usurpatori della porpora imperiale da Adriano fino a Numeriano, con la cronaca delle battaglie in cui erano impegnati, non ce ne sarebbe testimonianza diretta attendibile.
Della peste, probabilmente una epidemia di vaiolo, come si evince da un ceramica antropomorfa custodita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (la faccia e il corpo di una scultura umana appare butterata), scrive anche il famoso medico dell'Imperatore Galeno di Pergamo, il cui laboratorio è stato recentemente ritrovato sotto la Basilica di Massenzio nei fori imperiali, tre metri sotto la Via Sacra.
Il virulento morbo decimò le legioni che controllavano il Limes dell'Impero sul Danubio che fu bucato dall' orda germanica dei Marcomanni e da alcuni loro alleati come i Quadi, e l'Imperatore non fu subito in grado di opporre una valida resistenza per penuria di uomini (falcidiato dal male endemico?).
I barbari giunsero fino ad Aquileia nell'Italia del Nord - Est e furono fermati. Successivamente, Marco Aurelio riuscì con un grande sforzo bellico a portare la guerra fino al territorio oltre il confine romano e avrebbe voluto spostare i confini dell'Impero all'Elba sia per garantirsi un nuovo gettito fiscale, sia per avere nuovi contingenti per l'esercito.
Ma, la morte colse l'imperatore filosofo a Vindobona (l'attuale Vienna). Il figlio Commodo, acclamato imperatore dagli eserciti sul campo, sconfisse ripetutamente i Germani grazie ai suoi generali, ma non creò delle nuove province nei territori germanici fino all'Elba, ma si accontentò di regni satelliti o alleati di Roma che fornivano manodopera e soldati all'İmpero che ne aveva estremamente bisogno.
Infatti, con la Pesta Antonina e la conseguente carestia, l'Impero Romano si stima abbia perso milioni di abitanti.
Questo portò a una grave crisi economica e finanziaria, poiché in una società prevalentemente agricola era necessario avere sempre una manodopera bracciantile atta alla coltivazione dei campi, una conseguente riduzione del gettito fiscale per impoverimento dei proprietari terrieri, penuria di risorse per l'esercito che faceva fatica a trovare nuovi soldati fra i cittadini romani. Per rendere conto dell'importanza dell'esercito, bisogna dire che l'Impero Romano spendeva almeno il 70% dei soldi pubblici per l'esercito.
Anche la classe senatoria fu pesantemente colpita dalla peste e diverse famiglie di epoca repubblicana che avevano fondato la Res Publica si estinsero. Ciò lasciò dei vuoti nella classe dirigente imperiale che non fu mai adeguatamente sostituita.
Dopo l'assasinio di Commodo nel 192 d.C., solo nel 197 si ritrovò una certa stabilità politica con Settimio Severo che fondò la dinastia imperiale dei Severi che resse le sorti imperiali fino al 235 d.C..
La politica degli imperatori della dinastia dei Severi fu proprio tesa a risolvere queste emergenze lasciate dalla Peste Antonina: potenziare l'esercito, trovare nuovi contribuenti e ripopolare aree disabitate ed economicamente depresse. Un provvedimento teso in tal senso fu quello deciso da Caracalla nel 212 d.C. che concedeva la cittadinanza imperiale a tutti coloro che risiedevano nei confini imperiali, tranne ai "dediticii", cioè a coloro che erano stati sottomessi a a cui era stato permesso di entrare nei confini di Rona per lavorare o prestare servizio militare.
Anche l'arruolamento nell'esercito sotto Alessandro Severo di corpi di cavalleria orientale, sono provvedimenti tesi a rimpinguare di nuove forze l'esercito romano che dal III secolo riadotta lo schieramento militare a falange greca.
La dinastia dei Severi aumenta molto il potere dei militari e tutto ciò porterà dopo la fine della dinastia a cinquantanni di anarchia militare e al definitivo allontanamento dell'esercito dagli interessi dell'Italia e di Roma Capitale, con ufficiali non più scelti fra le fila senatorie, ma con generali di carriera non romani da generazioni che dai ranghi più bassi, a partire dal III secolo fanno carriera fino ai massimi gradi dell'esercito.
Durante l'anarchia militare del III secolo, l'impero devastato dalle incursioni dei barbari lungo i confini non adeguatamente difesi dalle legioni impegnate a guerreggiare fra loro, dovette ricorrere all'arruolamento di contingenti barbari.
L'Imperatore Gallieno dal 260 al 268 porta avanti una serie di riforme dell'esercito che tra l'altro esclusero i senatori dal comando militare. L'esercito divenne una casta fedele totalmente all'imperatore, con effettivi sensibili sempre più al loro tornaconto personale piuttosto che agli interessi dello Stato.
L'incapacità delle istituzioni romane di venir incontro alle esigenze della popolazione in un'epoca di morte, invasioni, pestilenze e carestie, avvicinarono sempre più gli abitanti dell'Impero a religioni salvifiche e monoteiste come il Mitraismo e il Cristianesimo, allontanando la gente dalla religione tradizionale romana, ideologia imperiale fondante.
Con Diocleziano (284 - 305 d.C.) l'Impero uscì finalmente dalla crisi del III secolo, ma non fu più quello di prima. Fu l'istituzione statale romana a sopravvivere, ma la società romana non si riprese mai più.
Venne inaugurato il "Dominato" che prese il posto del "Principato" di Augusto e lo Stato Romano sembrava sempre più una teocrazia orientale, più di stampo ellenistico che romana classica. Gli eserciti di mercenari germanici decidevano le sorti dell'Impero ed erano equipaggiati con armamenti pesanti più simili a quelli medievali. Quando non potevano essere pagati i loro stipendi, spesso saccheggiavano le stesse città che in teoria erano chiamate a difendere. L'impero nel IV secolo solo in rari casi fu unito politicamente sotto un solo imperatore e dal 395 d.C. non lo sarà mai più, diviso in Impero d'Oriente con Capitale Costantinopoli ed Occidente con Capitale Milano prima e Ravenna poi che cadde sotto i colpi dei Barbari nel 476 d.C..
Da quel momento non ci sarà mai più l'unità politica del Mediterraneo minata da quella epidemia della seconda parte del II secolo che spazzò la società romana classica nel momento del.suo massimo splendore politico ed economico.
Dunque, fu la biologia a svolgere un ruolo molto importante nella crisi e decadenza dell'Impero Romano. Un fattore quello naturale che gli storici solo recentemente hanno iniziato a prendere in considerazione nello studio della storia.

Cristiano Vignali - Agenzia Stampa Italia.

 

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