(ASI) Candido, racconto scritto nel 1759, è la storia di un ragazzo di nome Candido, che vive nel castello del Barone di Thunder-ten-tronckh, uno dei più importanti nobili della Westfalia.
Segue quotidianamente le lezioni di Pangloss, che insegna metafisico-teologo-cosmologo-scempiologia, convinto che quello in cui vivevano era “il migliore dei mondi possibili”. Candido era innamorato della diciassettenne baronessa di nome Cunegonda ed è proprio a causa di questo amore che Candido viene cacciato dal castello e costretto a peregrinare per il mondo. È a questo punto che conoscerà le più amare esperienze del vecchio e del nuovo mondo: sulla sua strada, infatti, incontra guerre con tutte le sue carneficine, la catastrofe del terremoto (quello di Lisbona del 1755 che causò, oltre la morte di migliaia di persone, gravi implicazioni sociali e filosofiche), la persecuzione dell’Inquisizione, la tragedia delle malattie, della schiavitù, della morte e dell’infelicità di tutti gli uomini, dai più potenti ai miserabili.
Lui stesso derubato e perseguitato, costretto a fuggire, sperimenta sulla propria pelle l’infelicità della vita, ma soprattutto la rassegnazione finale, nel momento in cui incontra la sua amata Cunegonda inseguita in tutto il mondo e non più affascinante come una volta.
La tragedia è raccontata tramite mirabolanti avventure che Candido e i suoi amici (tra cui Cacambo, servo furbo e fedele al suo padrone in molte occasioni) compiono nel bene e nel male, ed è proprio questo “tutto è bene”, che fa di Candido un avventuriero speranzoso anche di fronte alle tante disgrazie: il suo carattere positivista, indottrinato dal filosofo Pangloss, si smonta davanti ai disastri per poi tornare più speranzoso di prima. Questi momenti di estremo dolore sono dimenticati dal protagonista solamente in una città, in cui il giovane insieme a Cacambo giungono per caso e sostando poco tempo: la leggendaria El Dorado. Una città dove la gentilezza è seconda solo alla grande presenza di oro, gli uomini sono giusti e tutti vivono in pace e tranquillità. Candido, a causa della sua inquietudine a partire, se ne va lasciandosi alle spalle veramente il migliore dei mondi possibili per rituffarsi nel male quotidiano alla ricerca della sua amata. Di nuovo immerso nell’esperienza del viaggio Candido incontra un personaggio importante, Martino, un uomo molto sfortunato che Candido sceglie come compagno di viaggio nel ritorno in Europa e come maestro di dispute filosofiche. Martino molto intelligente, è in totale contrasto con la visione ottimista della vita pensando, appunto, che non esista bene nel mondo e che “non ci sia nessuna persona al mondo che abbia trovato la felicità” in estrema contraddizione con il ritrovato Pangloss.
Alla fine della storia verrebbe da pensare che Candido potesse aver trovato la sua felicità poiché, viveva in una fattoria nei pressi di Costantinopoli insieme alla sua beneamata, con il filosofo Pangloss, il filosofo Martino e il fedele Cacambo, e con un bel gruzzoletto portato via dalla città di El Dorado. Ma gli ebrei gli fecero tanti imbrogli che alla fine rimasero solo con la fattoria; la bella Cunegonda, ogni giorno più brutta, diventò così bisbetica da non poterla sopportare; Candido, che lavorava l’orto, si recava tutti i giorni a Costantinopoli per vendere i prodotti, era sfinito dal lavoro e malediceva la propria sorte. Pangloss si disperava di non essere il luminare di qualche università tedesca. Quanto a Martino, realista, tenendo per fermo che in ogni luogo si sta male ugualmente, portava pazienza.
Nella morale che Candido trae da tutto questo, espressa nella frase “voi dite bene, ma noi bisogna che lavoriamo il nostro orto”, c’è la stanchezza delle dispute filosofiche, la rassegnazione all’infelicità come condizione inevitabile e la convinzione che l’unico sollievo ai mali è una ragionevole operosità accompagnata dalla saggezza che consiste nel non porsi troppe domande e nell’occuparsi dei fatti propri.
Pallotti Pietro - Agenzia Stampa Italia
Fonte foto: After Nicolas de Largillière [Public domain]