(ASI) Venerdi 21 aprile 2017 nella Repubblica di San Marino ad una serata trascorsa con parenti, amici e colleghi ho avuto il privilegio non solo di conoscere ma anche di avere in omaggio con dedica, il nuovo libro biografico sulla Contessa di Castiglione, opera di Antonio STOLFI dal titolo.”
Il Romanzo della Contessa di Castiglione 1837-1899 “ edito da ALBATROS 2017. L’autore non è nuovo a questa tipologia di scritti essendo gia’ conosciuto al pubblico per l’opera, “Cavour. L’uomo, il politico,l’Unita’ d’Italia (ed.AIEP) nonché “Ponti di Parigi”(Europa Edizioni) conseguendo alresi’ il Premio della critica al concorso letterario Worl Literary Prize a Parigi il 13 giugno 2015.
L’Astolfi è sanmarinese vissuto sin dall’eta’ di nove anni a Parigi stimolando in lui una formazione professionale e culturale vivace, fuori dall’ordinario, assumendo la veste di alto manager presso multinazionali, ricoprendo altresi’ la carica di “Console generale della Repubblica di San Marino “a Parigi, affiancando per diletto ed amore per la Storia una sua attivia’ di ricercato e minuzioso storico sulla biografia di personaggi celebri.
Proprio dal primo volume sulla vita di Cavour che è nata quest’ultima opera su quella che possiamo ben dire , essere una delle figure femminili piu’ discusse del XIx secolo: Virginia Oldoini Verasis di Castiglione, ispiratrice di fiction e romanzi.
Tra le donne del Risorgimento la contessa di Castiglione fu certamente la più bella, la più intrigante e chiacchierata, la personificazione della vanità femminile. Una “statua di carne”, così l’aveva definita con una punta d’invidia la principessa di Metternich. Audace, altera e superba, di sé diceva: “è il mio carattere fiero, franco e libero che mi fa essere talvolta cruda e dura”. Mostrava con orgoglio agli ammiratori le mani seducenti e i piedi magnifici. Gli occhi di intenso verdazzurro dalle sfumature ametista, anche nel fuoco della passionalità più violenta tradivano una mente lucida e fredda.
Virginia Oldoini, figlia del nobile marchese spezzino Filippo Oldoini e della fiorentina Isabella Lamporecchi, vide la luce a Firenze il 23 marzo 1837, anche se per civetteria non lo ammise mai. È passata alla storia per avere sedotto – un’astuzia del Conte di Cavour che le avrebbe detto “usate tutti i mezzi che vi pare, ma riuscite” - Napoleone III portandolo così a sostenere la causa dell’indipendenza italiana. Non aveva ancora 17 anni quando, il 9 gennaio 1854, “Nicchia” (così la chiamava Massimo d’Azeglio) divenne contessa di Castiglione, andando in sposa al conte Francesco Verasis di Castiglione Tinella e di Costigliole d’Asti, cugino di Cavour, assolutamente deciso a sposare la donna più bella d’Italia, nonostante sapesse di non essere ricambiato. Ne rimase sempre innamorato e, come tutti i mariti ingannati che si rispettino, disposto a ignorarne i tradimenti e ad assecondarne i costosi capricci, anche dopo la separazione legale, finché nel 1867 durante il corteo di nozze tra il principe Amedeo d’Aosta e la principessa Maria dal Pozzo della Cisterna, caduto da cavallo, morì travolto dalla carrozza reale.
Virginia non amò altri che se stessa, motivo per cui il figlio Giorgio, morto divaiolo a Madrid nel 1879, la detestava cordialmente. Dagli uomini sapeva farsiadorare quanto odiare dalle donne, prima tra tutte la spagnola Eugenia Montijno, consorte di Napoleone. Dalla amata Spezia, appena sposata si trasferì a Torino alla corte di Vittorio Emanuele di Savoia e quindi a Parigi. Dopo un esordio memorabile alle Tuileries, alla sfolgorante ventenne bastò mezz’ora d’amore con l’Imperatore cinquantenne nella stanza azzurra del Castello di Compiègne per riuscire nella “delicata” missione di Stato che le era stata affidata. Era il gennaio del 1856. Napoleone la coprì di gioielli, tra cui una collana a cinque giri di perle e si favoleggiava di un appannaggio mensili di 50mila franchi. Stabilitasi in Rue de Passy, le malelingue non si accontentarono più di soprannomi come “la bella e la bestia” e, senza mezzi termini, la battezzarono “vulva d’oro”. Dopo l’armistizio di Villafranca, nel luglio 1859, la sua stella presso Napoleone cominciò a offuscarsi a vantaggio della moglie del ministro degli esteri contessa Walewska, ma a buon conto l’imperatrice Eugenia, col pretesto di un sventato attentato all’Imperatore programmato durante un convegno tra i due amanti, ne ottenne l’espulsione dalla Francia. Nel 1862, per intercessione dell’ambasciatore Costantino Nigra, tornerà a Parigi con propositi di rivalsa, ma ormai quella partita era persa come lo fu più avanti quella con Vittorio Emanuele, seccatosi per i suoi tentennamenti e le sue eccessive pretese dopo averla ripetutamente invitata a trasferirsi a Firenze.
Caduto il Secondo Impero nel 1870, con abilità e scaltrezza continuò a tessere, tra Parigi e La Spezia, la rete delle sue amicizie influenti collezionando 43 amanti, 12 dei quali avuti contemporaneamente e sempre all’insaputa l’uno dell’altro. La venere incontrastata del bel mondo che aveva incantato per le toilette da favola, i gioielli, tra i fasti e i piaceri della mondanità, ebbe il solo grave torto di sopravvivere alla sua bellezza. Trascorse l’autunno della vita sola, nel terrore dell’indigenza, sopraffatta da cupa nevrastenia e senso di persecuzione. Dei ricordi ormai non sapeva che farsene: per non vedere la sua decadenza fisica si velava il volto, copriva gli specchi, usciva solo la notte, circondandosi di un’aura patetica di mistero. Ancora ricca, ma in crisi di liquidità, nel 1893 subì l’onta dello sfratto dal suo ammezzato di Place Vendôme occupato dal 1876.
Morì a Parigi il 28 novembre 1899 in un piccolo alloggio sopra il ristorante Voisin. All’indomani del suo funerale, la polizia e Carlo Sforza per l’ambasciata italiana distrussero tutte le lettere e i documenti compromettenti riguardanti re, politici, papi e banchieri, da Napoleone III a Bismarck, Cavour, Pio IX, Rothschild. Ci restano i suoi diari. Avrebbe voluto tornare in Italia e farsi seppellire alla Spezia con i suoi gioielli (andarono invece a sconosciuti eredi con una fortuna stimata in due milioni di lire del tempo), la camicia da notte verde acqua di Compiègne e i suoi due pechinesi, Sanduga e Kasino, imbalsamati.
Riposa al Père Lachaise.
L’autore, Antonio Stolfi delinea una inedita e particolarissima Virginia.
Tramite una meticolosa ricerca archivistica, di memorie, diari, corrispondenze e documenti riesce finalmente a riportare sul giusto binario della verita’ storica ,il profilo di una donna passionale, una “femme fatale” parimenti dotata di fascino e scaltrezza che idolatrando se stessa si è imposta come icona del suo tempo, catturando nella sua rete, i potenti del Risorgimento.
Fautrice per l’Unita’ d’italia per convenienza? L’autore ci spiega come una stella che ha brillato nel firmamento di un’Europa in essere, si sia bruciata in fretta, entrando nelle alcove, nelle grazie e nei desideri di m0lti uomini, suscitando invidie, ire di tante donne, e.....anticipando trasgressioni e vizi delle generazioni future.
Mauro Norton Rosati di Monteprandone - Agenzia Stampa Italia