L’innovativo Un cuento chino vince e convince, disastro per i film italiani. “Un cuento chino” di Sebastiàn Borensztein si è aggiudicato i due premi più ambiti della sesta edizione del Festival di Roma, cioè il Premio Marc’Aurelio della Giuria al miglior film e il Premio BNL del pubblico al miglior film.
(ASI) Un film rivoluzionario, che spiazza nel finale. Sembra un film comico con uno spagnolo che si trova un cinese in un negozio che non riescono a parlare e in realtà è tutt’altro. Questo film un po’ all’ombra e con un regista dal nome difficile sorprende e sorprenderà e come è successo l’anno scorso con Haeven, si candida fortemente all’Oscar per il miglior film straniero.
Il Premio Marc’Aurelio della Giuria alla migliore attrice va a Noomi Rapace per l’angoscioso “Babycall”.
Alla Francia il Premio Marc’Aurelio della Giuri per il miglior attore asSegnato a Guillaume Canet per “Une vie meilleure” e il Gran Premio della Giuria Marc’Aurelio all’apprezzato “Voyez comme ils dansent” di Claude Miller.
Il trio Rush, Keampling e Davis riesce a far prendere al non proprio esaltante “The eye of the storm” il Premio Speciale della Giuria Marc’Aurelio.
Onore anche al tedesco “Hotel Lux”, che vince il Premio Speciale alla colonna sonora della Giuria Marc’Aurelio per Ralf Wengenmayr.
Tra i documentari vince meritatamente il non perfettamente tecnicamente, ma struggente Girl model, capace di svelare le illusioni e i retroscena di una realtà dura, che nasconde scenari terribili.
Per la sezione Alice nella città, s’impone per la cateria under 13, l’intenso e profondo “En el nombre de la hija” di Tania Hermida P., capace con i bravissimi bambini di toccare tematiche complicatissime quali il cattolicesimo, il comunismo e l’immortalità dell’anima, mentre per gli over vince “Noordzee Texas” di Bavo Defurne.
Infine, in collaborazione con il Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato assegnato il Premio Marc’Aurelio Esordienti, trasversale a tutte le sezioni del Festival, e destinato al regista della migliore opera prima ha deciso visto l’ex aequo tra “Circumstance” di Maryam Keshavarz e “La Brindille” di Emmanuelle Millet.
Questi sono i vincitori per un Festival non proprio esaltante che a parte l’innovativo Un cuento chino e i divertenti Hotel lux e A few best moment, non ha presentato grandi film e non ha visto un assedio di star, ma è stato graziato dalla presenza di Richard Gere, che ha illuminato gli ultimi due giorni. Oltre al grande Richard Twilight e Tini Tini hanno aiutato a far respirare l’aria di Hollywood, ma se pensiamo che una volta Roma era il centro del mondo cinematografico c’è da porsi molti interrogativi.
E’ vero, i finanziamenti non ci sono e il Festival si è salvato per miracolo, ma onestamente a livello organizzativo manca parecchio, spesso il personale non sa le procedure, si creano file inutili e la stampa stessa è ridotta a fare processioni per entrare nelle sale, spesso non adeguate. A ciò si aggiunge un palinsesto che vedeva quei pochi picchi di livello, in orari antitetici o troppo attaccati, esempio è quasi lo stesso orario tra gli attori di Twilight e il duo Rubini-Scamarcio e anche il fatto che film di livello come A week with Marylin fossero messi a tarda notte, con relativi problemi per la mobilità. Al sesto anno ci è arrivato e la promozione nonostante tutto se la è meritata, con una bella sufficienza, ma che sa un po’ di poco per un Festival del cinema della città di Roma. C’è un’attenta riflessione da fare poi: nessun film italiano ha vinto, questo dovrebbe portare alcuni interrogativi e cioè come si fa a investire circa 2 o 3 milioni di euro per film che sostanzialmente non hanno nulla da dire e che non presentano nulla di nuovo, i nomi se ne potrebbero fare, ma per non umiliare il nostro cinema e molti che ci lavorano non li facciamo e generalizziamo.
Caro cinema italiano se non ti rinnovi non vai da nessuna parte perché i tempi di De Laurentiis, Ponti, Fellini ecc. sono passati da un pezzo e non tornano più e onestamente puntare tantissimo su commediole stile Immaturi, Cado dalle nubi e Vacanze di Natale, con tutto il rispetto, pare un po’ pochino e non fa bene al cinema stesso. Il problema è che non si ha coraggio di investire sull’originalità, di innovare, di creare prodotti che segnino l’epoca, ma si è schiavi di un bilancio che l’uomo medio detta. Vanno fortissimo le fiction e le cose similari, ma dov’è il cinema? Dove sono i grandi autori e interpreti? Ci sarebbero volendo, perché il nostro è un paese di ingegno, ma che per un discorso o per un altro ha reso il cinema puro business e allora è giusto che vengano queste figuracce o che siamo snobbati agli Oscar, salvo colpi d’ala di Benigni o Bellocchio. Bisognerebbe apprendere la lezione di questo film, dal titolo non entusiasmante e con un regista poco conosciuto che ha azzittito tutti. Un cuento chino ha vinto per questo perché è una commedia e non lo è, ha saputo cambiare e innovare.