(ASI) Il trucco cola, la maschera non si scioglie, il cuore si spezza, il corpo danza. Inizia (o continua) lo show e il sorriso regge ancora. “That’s life…”, that’s Joker.

Un precario mentalmente instabile senza un’identità definita, Arthur Fleck (un Joaquin Phoenix ormai egli stesso mito), lavora per una scalcinata agenzia di clown sognando di sfondare come stand-up comedian, mentre colleghi e passanti lo irridono nella sua scoordinata performance da marciapiede. A casa si rifugia in una routine dimessa, facendo da damigella di compagnia alla madre, Penny, bambina nel corpo di una anziana senza coordinate razionali, megalomane, bugiarda cronica, sociopatica. Frastornato dal bullismo e dalla derisione quotidiana, inabile ad affrontare la vita, Arthur, buffamente chiamato “Happy” dalla madre, ha una paradossale sindrome per la quale in situazioni di stress, in mezzo ad umani autistici ben camuffati, che siano sudici o ben vestiti, tutti ectoplasmi nel tran tran quotidiano(dal bus sovraffollato di poveracci e immigrati all’ora di terapia della psicologa che non lo ascolta) esplode in una risata isterica dove si consumano, non letti, il dolore, il disordine, la delusione, la paura.

Come dice Arthur stesso “per tutta la vita non ho mai saputo se esistevo veramente... ma esisto e le persone iniziano a notarlo...” perché se un bel giorno ti accorgi che esisti e sei parte del mondo anche tu… qualcosa si rompe, e le finzioni saltano, quella routine muore insieme all’abito sociale e l’(anti)eroe si risveglia.

Ma non è un rassicurante frammento di epopea disneyana dove il giovane protagonista non ha che da prendere coscienza per dominare (paradosso occidentale) il suo habitat in una apparentemente equanime armonia. E la vita nella società occidentale 3.0 non è armonica, equanime, solidale, green, nonostante proteste e scandali. Il cerchio della vita è un incubo metropolitano stanco. La civiltà si rotola nel caos dei propri escrementi, come la Gotham invasa dai rifiuti testimonia, e in fondo “basta una brutta giornata” perché chi si desta dal torpore tossico della vita odierna decida se creare morte o vita.

Arthur Fleck alias Joker, sceglie di assecondare l’istinto “distruttivo”, figlio dell’anarchia e della tragedia di mancato riconoscimento e realizzazione di un “Io” simbolo del suo mondo, molto più del Batman che affronta “da grande” nella saga fumettistica tra le più lette e sceneggiate di sempre. Dal comic alla vita di strada, sono le mean streets della vita (tra lo Scorsese di Taxi Drivers al Brian De Palma degli esordi alla serie The Purge netflixiana) ad interessare gli autori Scott Silver e Todd Phillips, quest’ultimo regista caleidoscopico nel suo gusto ironico, paranoide, tagliente, crudele e senza retoriche (da Borat a Una Notte Da Leoni). Che cosa succede quando sin dalla nascita e dalla famiglia, dalla scuola al mondo lavorativo un uomo viene deriso, ridicolizzato, inascolato, ghettizzato e offeso sino all’umiliazione fisica quasi mortale dalla società stessa che lo sta plasmando per scarnificarlo e sfruttarlo? L’eterno archetipo della mater matrigna molto più in profondità delle radici del personaggio DC Comics. Silver e Phillips cercavano una nuova maschera per il l’archetipo dell’uomo della porta accanto.

La danza plasticamente disarticolata, sinuosamente schizofrenica di Arthur si lega ad ogni vicolo e scalinata della sua Gotham selvaggia (che si inerpica negli angoli meno riconoscibili della conosciutissima New York e del New Jersey) e ci narra la metamorfosi naturale da Arthur a Joker, anoressico bellissimo rottame, giunto al punto di non ritorno inizia la sua vendetta indiretta. Contro la borghesia in ascesa, corrotta ed egocentrica (capeggiata da quel pallone gonfiato che è Thomas Wayne,  padre di Bruce/Batman nel cui mito la madre di Arthur lo ha sempre cresciuto). Contro lo showbiz da cui si sentiva reclamato per una fulgida ascesa come stella della comicità. Da calpestato a killer. Joker inizia a seminare il terrore con atti di casuale ribellione fino all’apoteosi sotto i riflettori, negli studi televisivi di dell’altro suo mito, il comico Murray Franklin (Robert De Niro) che ha trasformato la comicità in macchina da ascolti e denaro senza scrupoli o etica professionale.

La storia di Arthur/Joker brilla di un cupo (nonostante la magnetica fotografia pop) iper-realismo, ponendosi non solo agli antipodi ma totalmente al di là dei pur splendidi omologhi diretti da Burton e Nolan. Il grottesco stereotipico del fumetto e la gelida icastica immobilità dei loro protagonisti, anche laddove complessi e trascinanti (vedi gli indimenticabili Joker di Nicholson e Ledger) sono invece per Phillips e la sua squadra, a cominciare dal co-sceneggiatore e dall’attore, una tragedia contemporanea quasi documentaristica, manicomio a celo aperto che potrebbero aver concepito insieme Forman e Kubrick.

Le metafore sono semplici e il trucco non è orpello. La maschera è fatta di pelle e sudore. Il rifiuto e l’indifferenza del mondo sono visibili nella loro materializzazione più inevitabile banalmente, l’immondizia accumulata in ogni angolo e quartiere attraversato  dalla danza mistica di un corpo fragile, quello di Joker, dalla densità rituale dei suoi gesti e passi, formula preparatoria al delitto e alla sovversione, al massacro che diventa addirittura emulazione collettiva e rivoluzione improvvisata.

Il sorriso parossistico del clown è chiara analisi sociologica e psicanalitica della società attuale. I suoi tic non sono isterie metabolizzate, i suoi tic sono malattia dell'inadeguatezza in un mondo che lo vomita e che lui rigetta a sua volta, non senza pietà per i deboli suoi simili, scatenando, senza predizione, guerriglia civile di cui il suo ego si nutre pur restando vuoto.

Il sorriso maschera fisica, è plastica di dolore, letteralmente incarnata dal genio di Phoenix, la risata è il drastico fraintendimento dei meccanismi sociali in cui non si lascia più trascinare. Ogni inquadratura è una tessera e sillaba del suo puzzle/linguaggio, una nervatura del corpo-anima-costume del Joker e della sua auto educazione criminale, purga del mondo infettato dalla sua stessa immondizia.

Regia: Todd Phillips

Sceneggiatura: Todd Phillips, Scott Silver

Cast: Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Bill Camp, Zazie Beetz, Brett Cullen, Frances Conroy, Glenn Fleshler, Marc Maron, Douglas Hodge, Josh Pais, Shea Whigham

Fotografia: Lawrence Sher

Montaggio: Jeff Groth

Musiche: Hildur Guðnadóttir

Produzione: DC Comics, DC Entertainment, Joint Effort

USA/ Durata: 122 min

Genere: Thriller, Drammatico, Giallo

Distribuzione: Warner Bros. Italia

Data di uscita: 03 ottobre 2019

Sarah Panatta per Agenzia Stampa Italia

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