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(ASI) L’etimologia non lascia spazio a dubbi interpretativi: il matrimonio prevede l’unione con una mater ovvero donna capace di procreare, così definibile al meno dal punto di vista biologico. Da una prospettiva che considera invece gli aspetti più propriamente emotivi, affettivi, quelli antropologici e culturali in genere, connessi alla convivenza stabile di due persone unite dalla comune e reciproca volontà, il significato assume carattere più generale, più conforme alla realtà sociale rispetto alla letteralità del lemma originario. C’è poi una definizione giuridica, alternativa alle precedenti che allo stesso tempo ne costituisce la sintesi; o meglio dovrebbe, poiché la sincronia tra le norme giuridiche concepite per regolare i fatti sociali e l’evoluzione dei costumi e dei valori nella società, è spesso lenta e macchinosa, a discapito di una molteplicità di cittadini che non trovano legittimati il personale modo di sentire e la propria condotta di vita.

Il dibattito sul matrimonio omosessuale, al pari di altre questioni controverse come la liberalizzazione delle droghe leggere recentemente riaperta da Roberto Saviano, torna saltuariamente di attualità. Non tanto, sembra, per la consapevolezza diffusa tra le forze politiche della necessità di un confronto sostanziale che conduca eventualmente al riconoscimento giuridico di un’avvenuta trasformazione in seno alla società e al comune sentire, quanto piuttosto per essere utilizzato dai partiti come argomento di riaffermazione dello status individuale e di corrente, nell’ambito degli equilibri di posizione interni e nella dialettica tra gli stessi. La delicatezza del tema non giustifica la mancanza di coraggio da parte dei singoli partiti che evitano di prendere una linea almeno tendenziale pur nel rispetto democratico delle posizioni minoritarie, e del Parlamento nella sua generalità che molto accortamente rimanda a tempo indeterminato le questioni di alto profilo etico. Il tempo della politica referendaria è lontano anni luce, legato alle contingenze di allora e alla forza di un partito radicale e del suo leader storico che non sono stati capaci anch’essi di trasformarsi, senza perdere vigore. Oggi, volenti o meno, si è tornati in toto all’opzione rappresentativa. Nonostante il rigurgito di attivismo della società civile - indotto dal disfacimento del sistema rappresentativo medesimo- gli unici veri destinatari delle istanze provenienti dal basso sono i partiti e il Parlamento. E’ dunque a loro che va rivolto l’appello di abbandonare il semplicismo delle logiche legate esclusivamente al consenso e al mantenimento del suo status quo, dove l’unica attitudine all’azione risiede nell’attesa del passo falso altrui. Il progresso, quello dell’umana specie, non è legato a doppio filo alla sfrenata locomotiva tecnologica come vogliono dare ad intendere coloro i quali sentono il peso del proprio ruolo insieme alla consapevolezza della personale incapacità di rivestirlo, tentando goffamente un’opera di deresponsabilizzazione. Questo procedere insicuro e stentato, a tratti un po’ meschino della politica nazionale, deriva dal carattere di atavico individualismo della società italiana, modellatosi nel periodo post-unitario e alimentatosi durante tutto il corso della storia nazionale. Un approccio comparativo con altre esperienze nazionali conferma un atteggiamento altresì masochista della società italiana, incapace di guardarsi allo specchio senza riflettersi negli infiniti aspetti dell’interesse particolaristico.

Il matrimonio tra individui dello stesso sesso, e tutti i camuffamenti semantici con cui si tenta di sdoganarlo, è un tema complesso e controverso che tuttavia deve essere discusso democraticamente con il coraggio delle opinioni, per giungere ad ascoltare e riconoscere una domanda di legittimazione che proviene da una parte consistente della società.

 

Fabrizio Torella – Agenzia Stampa Italia

 

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