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(ASI) C’era una volta a vicino Perugia un’azienda leader del settore metalmeccanico europeo e mondiale, la Trafomec.

Si era insediata a Tavernelle, Valnestore, ed era nata per un atto di lucido coraggio di soci che avevano già lavorato in Svizzera nel settore e che, in poco tempo, supportati dagli amministratori locali del tempo, misero su il capannone, formarono e qualificarono personale del posto, acquisirono fette di mercato mondiale e commesse prestigiose, pubbliche e privati, assortendo un portafoglio clienti di tutto rispetto. I trasformatori col marchio Trafomec, tanto per dire, erano montati sui treni di alcune delle principali società ferroviarie pubbliche e private.

Tutti vissero felici e contenti per una ventina d’anni. Poi si manifestarono i primi problemi. Problemi finanziari, essenzialmente; dovuti ad una capitalizzazione inferiore al volume reale della produzione e, anche, ad una struttura organizzativa aziendale in cui la parte non strettamente produttiva (amministrazione) era proporzionalmente sovradimensionata rispetto a quella dei reparti.

Intervennero le Amministrazioni Pubbliche, Regione, Provincia e  Comuni, attraverso la Società Sviluppo Valnestore, con un piano finanziario che immise nei capitali dell’azienda robuste risorse finanziarie, con le opportune garanzie in termini patrimoniali e di salvaguardia e rilancio della produzione e dell’occupazione. L’intervento funzionò, e permise di salvare l’azienda e di dare un futuro alle sue commesse, che continuavano ad essere quantitativamente e qualitativamente notevoli.

Ma altri problemi Sono sorti nell’anno 2005 e in quelli successivi.  La proprietà è cambiata a ritmi da giostra. Dai pionieri locali ad un gruppo di ignota provenienza, poi ad un altro ancora di dubbia qualificazione (l’Amministratore, Simone Cimino, ha tuttora ha seri problemi con la giustizia) fino all’attuale proprietà (Natixis) che, ereditata l’azienda da Cimino e dal suo fondo Cape Live Natixis (un private equity), dopo un anno di gestazione, ha partorito il suo “piano di ristrutturazione aziendale”, illustrato dal nuovo Amministratore Delegato Stefano Tombetti. Qualcuno, tanto per non allontanarsi dall’attualità, l’ha definito un piano “tremontiano” essendo, di fatto, un taglio brutale di occupazione. Talmente brutale, nei numeri (su 157 occupati, prevede 105 licenziamenti!) da sembrare il preludio alla chiusura definitiva della fabbrica.

La nuova proprietà lascia trapelare che la situazione finanziaria è tale che non si può fare diversamente. I sindacati replicano che si tratta solo di un calendario accelerato di tagli senza contenuti sul piano industriale e proclamano lo stato di agitazione, articolato in una serie di iniziative che verrà sottoposta all’Assemblea dei lavoratori convocata per il 15 luglio. Nel contempo, sollecitano tutto il territorio ad esercitare “un ruolo attivo e forte” e richiamano all’impegno congiunto le  istituzioni locali, i parlamentari umbri ed il Ministero dell’Economia, dato il carattere multinazionale del Gruppo Trafomec.

Le istituzioni locali, Regione in testa, dichiarano “irricevibile” il Piano e invitano la proprietà ad aprire l’ennesimo tavolo istituzionale per scongiurare il venir meno sul territorio della presenza di Trafomec.

I lavoratori, sconcertati, dicono che, dopo la prima gestione (“persone del posto che almeno l’azienda la sentivano come una creatura loro e alle domande non si sottraevano”) hanno solo conosciuto società senza volto, scatole cinesi, finti imprenditori per i quali Trafomec ed Eurotrafo (la consorella con sede a Fabro, nata negli anni della massima espansione) erano niente più che pacchetti da giocare sui tavoli del baratto finanziario.

L’ultima proprietà, poi, dicono, ha fatto aspettare un anno per dire cose vuole fare,  e chi doveva e poteva chieder conto, ha forse atteso fin troppo e in maniera forse non molto attiva e attenta il famoso “piano-bufala”, invece che incalzare la proprietà.

Perché, dice un membro delle RSU, “di un piano così drasticamente taglia teste non si poteva, non si doveva, non saper qualcosa mentre veniva pensato e predisposto”. E, alzando il tiro verso il Governo nazionale, aggiunge che “queste cose succedono solo in Italia, un Paese che non ha più da decenni una vera politica industriale e nel quale si possono impunemente spacciare per imprenditori troppi soggetti che sono solo spregiudicati speculatori. Un Paese dove le multinazionali possono fare e disfare, aprire e chiudere, senza mai essere chiamate a pagare dazio ai territori dove fanno danni”.

Intanto, l’azienda ha recapitato le lettere di licenziamento e si apre la procedura di mobilità. Ci sono settantacinque giorni per trovare un accordo che scongiuri la esecuzione del piano. “Attiveremo comunque tutti i canali possibili” dice Anselmo Montagnolo, delle RSU Trafomec, anche se, fa capire, la “provocazione” pesantissima dell’azienda  tutto lascia presagire meno che una trattativa facile. Anzi, secondo le RSU Trafomec e le organizzazioni sindacali, se questa resta la base di partenza, non c’è “nessuna possibilità di trattativa”.

 

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