Calabria. L’area archeologica di Caulonia rischia di crollare in acqua

caulonia1(ASI) Tra le regioni meridionali la Calabria rappresenta un interessante e a volte unico bacino culturale. La sua ricchezza, grandissima e variegata spazia dalle emergenze delle popolazioni indigene: Enotri, Bretti a quelle della Magna-Grecia, ai Romani, ai Bizantini per giungere al periodo dei Borbone con i resti del loro trascorso industriale: ferriere, fonderie.

Questo interessante e vasto patrimonio è sicuramente difficile da gestire vista la sua eterogeneità e dislocazione territoriale. Mancano le risorse economiche, ma spesso è la politica che arranca. Molte volte invece ci si trova davanti ad una burocrazia inadatta a gestire il tutto e spesso è la mancanza forse di figure professionali adeguate inadatte a compiere al meglio il proprio compito. A questo si aggiunge ma mancata conoscenza del territorio collinare e montano a ridosse delle città magno-greche della Calabria, e si demanda la “scoperta” a segnalazioni di privati scaturite da ritrovamenti fortuiti, o a ricerche effettuate da università spedite in montagna quasi per evitare qualche successo che sminuirebbe quelli effettuati sui soliti posti noti. Manca una tutela integrata del territorio, caulonia2nel suo complesso variegato, che conserva e ci tramanda il bene culturale. Manca la volontà di ricercare “cose” nuove, preferendo insistere sempre sulle aree archeologiche ben conosciute. Se vogliamo, la nostra Nazione per certi versi non è mai uscita realmente dai secoli in cui il patrimonio era considerato non una risorsa, ma una mera parte del paesaggio e che a volte purtroppo veniva considerato un problema. Per fortuna sulla litoranea calabra esistono molti aree archeologiche e musei o antiquarium statali che conservano ciò che si è trovato in secoli di scavi e ricerche. Poco o nulla esiste di statale nell’entroterra dove sono i comuni il più delle volte a sostituirsi allo stato con raccolte e collezioni archeologiche o pinacoteche e altro. Molti sono gli esempi che potremmo citare sulle “disattenzioni” di chi dovrebbe essere attento a salvaguardare il patrimonio culturale di tutti. Tra questi: le rovine della città magno-greca di Caulonia. Grazie agli scavi archeologici promossi dal 1911 al 1913 dall’archeologo Paolo Orsi, fu possibile ricostruire la storia di Caulonia. Già, in quelle circostanze, si poté capire che il sito era soggetto a forti fenomeni di erosione costiera, sui quali bisognava intervenire con urgenza. In seguito, durante le campagne di scavi, condotte dal 1999 al 2014 dalla Scuola Normale Superiore e l’Università di Pisa, di Firenze e dalla Soprintendenza archeologica della Calabria, furono esaminati i risultati delle indagini condotte da P. Orsi e ricostruite le vicende dell’area in esame. Per di più, nel luglio 2013, furono scoperti, dall’archeologo F. Cuteri, reperti di enorme interesse, tra cui il più ampio mosaico ellenistico del meridione, “la sala dei draghi e dei delfini”, datato tra la fine del IV ed i primi decenni del III sec. a.C. cauloniaTuttavia, nonostante i ripetuti appelli lanciati da Gianpiero Taverniti del gruppo “Monasterace nel cuore”, della locale sezione di “Italia Nostra” e da altri eminenti studiosi, il sito rischia di finire letteralmente inghiottito dal mare. Di sicuro qualche intervento è stato fatto, ma non ha garantito la totale salvaguardia del sito, che nelle ultime settimane è tornato ad essere minacciato dalle furie del mare. Philippe Daverio, noto professionista nello studio e divulgazione della cultura Italiana, che in un suo recente articolo apparso su L’Espresso definisce il meridione d’ Italia come il più grande bacino culturale dell’intero mediterraneo e indica nella salvaguardia e nella messa in rete del vasto patrimonio culturale il volano della ripresa economica del Mezzogiorno. Anche la Calabria dovrebbe far tesoro di ciò e puntare a trarre economia dal suo vasto patrimonio culturale. Chi lo deve promuovere? Chi lo deve salvaguardare? Gli enti preposti ci sono e anche molti ma che non dialogano tra di loro. È ancora pensabile che si possano spendere soldi pubblici per far emergere dall’oblio beni culturali, che poi vengono abbandonati e avviati alla distruzione? A chi la riposta?

Elia Fiorenza - Agenzia Stampa Italia

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