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(ASI) Morto alla veneranda età di novantotto anni, Sua Altezza il dottor Otto d'Asburgo da parecchio tempo non era più quel Clark Gable of European royalty che in Colombia aveva partecipato ai concorsi di bellezza, né il glamour boy delle cronache politico-mondane dell'America rooseveltiana, la terra promessa nella quale l'11 giugno 1940, esule dall'Europa perché imputato di alto tradimento, era stato festosamente accolto dalla Jewish Foreign War Veterans of America. Non era più quel combattente della libertà che, due giorni dopo l'Anschluss, si era consultato coi suoi principali consiglieri e collaboratori (gli eletti Martin Fuchs, Georg Bitter, Georges Mandel et alii ejusdem generis), decidendo di presentare il progetto di un governo austriaco in esilio ad una povera e perseguitata famiglia di banchieri: quella dei Rothschild, dalla quale ricevette "sostegno finanziario e tecnico" (Stephan Baier - Eva Demmerle, Otto d'Asburgo. La biografia autorizzata, Il Cerchio, Rimini 2006, p. 83). Né era più quel giovane guerriero che, non essendo riuscito ad organizzare un Austrian Battalion da inviare al seguito delle truppe USA contro la Germania e l'Italia, si era dovuto accontentare di schedare diligentemente i giornali e i periodici ungheresi fascisti e filofascisti per conto del Ministero della Giustizia statunitense, in attesa che la caduta di Horthy e poi di Szalasi (da lui delicatamente definito "psicopatico") gli consentisse di insediarsi a Budapest come Re dell'Ungheria liberata.

Tuttavia Sua Altezza il dottor Asburgo, Presidente d'onore della paramassonica Unione Paneuropea Internazionale, Medaglia d'Oro della Resistenza antinazista e honorary fellow dell'Università Ebraica di Gerusalemme, conservò fino all'ultimo una buona parte di quelle energie e di quello spirito combattivo che durante il periodo della guerra fredda avevano fatto di lui un "commesso viaggiatore della propaganda antisovietica", come lo definì la "Pravda", ovvero un instancabile giramondo al servizio del "mondo libero", un "apolide innocente come gli ebrei", secondo una definizione che ne diede Simon Wiesenthal.

Passato quest'ultimo a migliore o a peggior vita, Sua Altezza il dottor Asburgo sembrò volerlo emulare nella specialità della caccia alla selvaggina nazista, allorché, novantacinquenne, diede prova del suo fiuto riuscendo a scovare pericolosi criminali nazisti addirittura... in Serbia. Infatti il dottor Asburgo, che già nel 1998 si era distinto nella lotta a favore dell'"autodeterminazione dei popoli", attivandosi assieme al suo eletto collega Daniel Cohn-Bendit per sostenere i secessionisti in ogni parte della Jugoslavia, allorché dovette produrre argomenti decisivi contro Belgrado e contro il suo diritto di esercitare la sovranità sul territorio serbo, non esitò a sfoderare l'arma micidiale dell'accusa di "antisemitismo". Avvalendosi di una settantennale dimestichezza con gli ambienti statunitensi e richiamandosi ad una "documentazione solidamente fondata e custodita nel Texas" (sic), l'emulo di Simon Wiesenthal rovistò nell'armadio serbo facendone uscire gli scheletri. "Il primo ministro serbo Marshall (sic) Nedic - rivelò Sua Altezza nel novembre 2007 sul primo numero della rivista sammarinese "Europaitalia" - si recò da Eichmann per comunicargli che la Serbia era 'ripulita' dagli ebrei". Questo "olocausto" in salsa balcanica rimane però privo di testimoni, per il semplice motivo che i testimoni, stando a quanto affermava Sua Altezza in base ai preziosi documenti texani, "venivano strangolati" regolarmente da tenebrosi strangolatori serbi; in ogni caso tale "olocausto" avrebbe avuto il proprio coronamento allorché il primo ministro Djindjic venne assassinato, "poiché era in parte ebreo".

Per valutare la situazione politica dell'ex Jugoslavia, spiegava Sua Altezza in quella circostanza, sostenendo vigorosamente il "diritto" dei demonarcotrafficanti di Pristina a dichiarare l' "indipendenza" del Kosovo, è fondamentale sapere che i gruppi etnici non serbi "si sono prodigati in modo particolare a favore dei profughi e degli uomini perseguitati dai nazional-socialisti".

Ma se qualcuno si diede da fare in favore dei perseguitati dal nazismo, questi fu proprio Sua Altezza il dottor Asburgo, poiché, come fece notare a suo tempo il "fratello minore" cardinale Ratzinger, "il concistoro ebraico internazionale conferma che il dott. Otto d'Asburgo ha salvato oltre 10.000 ebrei dagli artigli dei nazionalsocialisti". In che modo? Prima falsificando migliaia di passaporti portoghesi da consegnare agli ebrei della Francia occupata; poi recandosi nella Repubblica Dominicana assieme all'eletto avvocato nuovaiorchese James Naumburg-Rosenberg onde ottenere da Rafael Trujillo 3.000 visti per altrettanti ebrei; quindi ottenendone altri 2.000 da Batista e altri ancora da Chang Kai Shek.

Che aspetta dunque, quell'entità che il dottor Asburgo definì come la "patria" per la quale "oggi combattono gli Israeliani" (Otto von Habsburg, Le nostre radici ebraiche, "Europaitalia", a. III, n. 18, aprile 2009, p. 5), a conferirgli graziosamente il titolo di "giusto tra le nazioni"?

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