“La gente sfida la paura. Persone coraggiose, guidate soprattutto dai giovani, scendono in strada e prendono la parola nonostante le pallottole, le percosse, i gas lacrimogeni e i carri armati. Questo coraggio, insieme alle nuove tecnologie che aiutano le attiviste e gli attivisti ad aggirare e denunciare la soppressione della libertà di parola e la violenta repressione delle proteste pacifiche, sta dicendo ai governi repressivi che i loro giorni sono contati” – ha aggiunto Weise.
“Tuttavia, è in corso una dura rappresaglia da parte delle forze della repressione. La comunità internazionale deve cogliere l’opportunità del cambiamento e assicurare che il 2011 non sarà una falsa alba per i diritti umani” – ha ammonito Weise.
È in corso una battaglia cruciale per il controllo dell’accesso all’informazione, dei mezzi di comunicazione e delle nuove tecnologie della rete, proprio mentre i social network alimentano nuove forme di attivismo che i governi cercano di irreggimentare. Come si è visto in Tunisia ed Egitto, i tentativi di bloccare l’accesso a Internet e ai servizi di telefonia mobile possono fallire ma nondimeno i governi stanno cercando di riprendere l’iniziativa e di usare la tecnologia contro l’attivismo.
Le proteste che si sono propagate in tutto il Medio Oriente e l’Africa del Nord per chiedere la fine della repressione e della corruzione stanno mettendo in luce quanto sia profondo il desiderio di esseri liberi dalla paura e dal bisogno e stanno dando voce alle persone senza voce. In Tunisia ed Egitto, hanno detronizzato i dittatori e il loro successo ha entusiasmato il mondo: ora i sussurri di malcontento vengono uditi dall’Azerbaigian allo Zimbabwe.
Nonostante una nuova determinazione nel contrastare i tiranni e nonostante lo scenario della lotta per i diritti umani si sia allargato alla nuova frontiera digitale, la libertà d’espressione – un diritto vitale in sé ma anche per poter pretendere altri diritti – è sotto attacco ovunque nel mondo.
I governi di Libia, Siria, Yemen e Bahrein hanno mostrato l’intenzione di picchiare, malmenare e uccidere per poter restare al potere. Anche quando i dittatori cadono, le istituzioni che li sostenevano devono ancora essere smantellate e il lavoro delle attiviste e degli attivisti è lontano dall’essersi concluso. Governi repressivi quali quelli di Azerbaigian, Cina e Iran, stanno cercando di impedire una rivoluzione del genere.
Il Rapporto annuale 2011 di Amnesty International, pubblicato in Italia anche quest’anno da Fandango Libri, documenta restrizioni alla libertà di parola in 89 paesi, mette in evidenza casi di prigionieri di coscienza in almeno 48 paesi, denuncia torture e altri maltrattamenti in almeno 98 paesi e riferisce di processi iniqui in almeno 54 paesi.
Tra i momenti più significativi del 2010, Amnesty International ricorda il rilascio di Aung San Suu Kyi in Myanmar e l’assegnazione del premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo, nonostante il governo di Pechino abbia tentato di sabotare la cerimonia.
Lontano dalle prime pagine internazionali, migliaia di difensori dei diritti umani sono stati minacciati, imprigionati, torturati e uccisi in molti paesi, tra cui Afghanistan, Angola, Brasile, Cina, Messico, Myanmar, Russia, Turchia, Uzbekistan, Vietnam e Zimbabwe. Queste attiviste e questi attivisti hanno spesso preso la parola su questioni quali la povertà, l’emarginazione di intere comunità, i diritti delle donne, la corruzione, la brutalità e l’oppressione. Ciò che è avvenuto in ogni parte del mondo nel 2010 mette bene in evidenza il loro ruolo determinante e la necessità di un sostegno globale nei loro confronti.
Il Rapporto annuale 2011 di Amnesty International segnala inoltre:
- il peggioramento della situazione dei diritti umani in vari paesi, con ripercussioni sull’azione degli attivisti in Bielorussia, Kirghizistan e Ucraina; la spirale di violenza in Nigeria e l’escalation della crisi causata dall’insurrezione armata dei maoisti nell’India centrale e nordorientale;
- tendenze regionali che comprendono le crescenti minacce nei confronti dei popoli nativi delle Americhe; il peggioramento della situazione legale per le donne che scelgono d’indossare il velo integrale in Europa; l’aumentata propensione, sempre in Europa, a rinviare persone verso paesi dove rischiano la persecuzione;
- conflitti che hanno provocato distruzione in Ciad, Colombia, Iraq, Israele e Territori Palestinesi Occupati, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, la regione nord caucasica della Russia, Somalia, Sri Lanka e Sudan, dove i civili sono stati spesso presi di mira da gruppi armati e forze governative;
- segnali di progresso, come lo stabile arretramento della pena di morte; alcuni miglioramenti in tema di cure materne, come in Indonesia e Sierra Leone; e la consegna alla giustizia di alcuni responsabili dei crimini contro i diritti umani sotto i passati regimi militari in America Latina.
Christine Weise ha affermato che i governi potenti, che hanno sottovalutato il profondo desiderio, presente ovunque, di libertà e giustizia, ora devono stare dalla parte delle riforme anziché ritornare al cinico appoggio politico alla repressione. Il vero banco di prova per la moralità di questi governi sarà il sostegno alla ricostruzione di stati che promuovano i diritti umani, a costo di mettere in gioco l’alleanza con questi ultimi, e la loro disponibilità, come nel caso della Libia, a deferire alla Corte penale internazionale i casi delle peggiori violazioni dei diritti umani, quando ogni altro rimedio giudiziario sarà venuto meno.
La necessità di una politica coerente di “tolleranza zero”, da parte del Consiglio di sicurezza, nei confronti dei crimini contro l’umanità è stata messa in evidenza dalla brutale repressione in Siria, che ha causato centinaia di morti da marzo, così come dall’assenza di qualsiasi azione comune di fronte alla repressione delle manifestazioni pacifiche in Bahrein e Yemen.
I governi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord devono avere il coraggio di consentire le riforme in un panorama dei diritti umani in rapido mutamento. Devono stare dalla parte dei diritti di espressione pacifica e di associazione e garantire l’uguaglianza di tutte le persone, smantellando in particolare ogni ostacolo alla piena partecipazione delle donne alla società. Le polizie segrete e le forze di sicurezza devono essere riportate sotto controllo, le azioni brutali e le uccisioni devono essere fermate e dev’essere assicurato il completo accertamento delle responsabilità per le violazioni dei diritti umani, in modo che le vittime ricevano quella giustizia e quella riparazione per troppo tempo rimaste parole vuote.
Le aziende che forniscono accessi a Internet, servizi di telefonia mobile, piattaforme per i social network e altri supporti per i mezzi d’informazione e le comunicazioni digitali devono rispettare i diritti umani. Non devono diventare pedine o complici di governi repressivi che vogliono reprimere la libertà d’espressione e usare la tecnologia per spiare i loro cittadini.
“Era dai tempi della Guerra fredda che così tanti governi repressivi non affrontavano una sfida al loro attaccamento al potere. La richiesta di diritti politici ed economici che si sta propagando in tutto il Medio Oriente e l’Africa del Nord è la prova decisiva che i diritti sono importanti allo stesso modo e costituiscono una richiesta universale” – ha commentato Weise.
“Nei 50 anni da quando Amnesty International nacque per proteggere i diritti delle persone imprigionate a causa delle loro opinioni pacifiche, c’è stata una rivoluzione dei diritti umani. La richiesta di giustizia, libertà e dignità è diventata una domanda globale che diventa ogni giorno più forte. Il genio è uscito dalla bottiglia e le forze della repressione non potranno ricacciarlo dentro!” – ha concluso Weise.