(ASI) Stati Uniti - Sui tavoli del distretto orientale del Michigan c’è una causa che deciderà il futuro di internet. Dalla parte dell’accusa, i familiari delle vittime dell'attacco al gay club di Orlando, in Florida. Da quella degli imputati, i giganti del web Facebook, Twitter e Google.
Non è nuova l’accusa che molti hanno mosso al mondo di internet, dove propaganda e supporto materiale al terrorismo sarebbero stati negli ultimi anni sempre più determinanti. False notizie, post-verità e complicità con il terrorismo. Mentre qualche anno fa i social media sembravano diffondere la democrazia in Nord Africa e Medio Oriente durante le primavere arabe, nel 2016 la realtà 2.0 è per molti diventata un nemico comune.
La domanda è quanto e se il web sia responsabile di questi avvenimenti, ma nella città di Orlando i parenti delle vittime sembrano avere le idee chiare.
«Google, Facebook e Google hanno fornito al gruppo terroristico dell’Isis account usati per diffondere la propaganda estremista, raccogliere fondi e attrarre nuove reclute. Senza mezzi come Youtube, di proprietà di Google, la crescita esplosiva dell’Isis negli ultimi anni nel gruppo terroristico più temuto al mondo non sarebbe stata possibile», raccontano i familiari di tre vittime della strage.
L’attacco dove è morto anche l’attentatore Omar Mateen aveva coinvolto 320 persone nel night club Pulse di Orlando, uccidendone 49 e ferendone 53 nella notte fra l’11 e il 12 giugno 2016.
La prima a diffondere la notizia della causa legale è stata Fox News e il processo potrebbe avere un notevole impatto come precedente, rivoluzionando così la natura e il ruolo dei social media.
Finora le corti sono state sempre riluttanti nel ritenere responsabili i giganti del web. Negli altri casi il Communications Decency Act (Cda) li ha sempre protetti da eventuali responsabilità. L’atto scritto nel 1996 non ha ancora incluso i social network nella lista degli editori e per questo secondo la legge non possono essere ritenuti responsabili dei contenuti pubblicati. Ora anche lo stesso documento è al centro della denuncia delle vittime.
Molti accademici e avvocati stanno sviluppando una giurisprudenza secondo cui la pubblicità sui social, che garantisce notevoli introiti provenienti dai brand commerciali, non può ritenersi neutrale. Così anche il resto dei contenuti caricati su Facebook, Twitter e Youtube non possono evitare l'obbligo morale verso la propaganda estremista diffusa sulle loro piattaforme.
Per ora non c’è alcun commento da parte delle aziende chiamate in causa, ma in epoca di post-verità, bufale sul web e propaganda online, in caso di pronunciamento dei giudici a favore delle vittime di Orlando, il mondo dei social andrebbe incontro a una rivoluzione radicale di scala mondiale.
Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia