Sono i componenti di una specie di “tempesta perfetta” che si abbatte su questo paese, ricco di risorse naturali e umane che gli hanno consentito in passato di rimontare precedenti crisi e come al solito, oltre alle brutte notizie pesa l’incertezza. Anche se i media usano fare il tradizionale bilancio dell’anno su fatti e personaggi, nel nostro caso vogliamo sottolineare due notizie dello scorso marzo. La prima, il giorno 13, col celebre annuncio: “Habemus Papam”, con l’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro, evento che oltre alla sorpresa, ci ha provocato una smisurata allegria, trattandosi di “uno dei nostri”, il figlio degli emigrati del Piemonte che ritorna al Bel Paese col nome di “Francesco di Buenos Aires”. L’altra notizia, di tutt’altro tenore, la conferma della volontà del governo Kirchner di togliere il monumento a Colombo e di collocare nel suo posto un altro, dedicato a Juana Azurduy, eroina dell’Indipendenza Latinoamericana.
LE NOSTRE “IDI DI MARZO”
Fatte salve le dovute distanze di tempi e di circostanze, gli eventi indicati ci portano in mente le storie dell'antica Roma dove, secondo le tradizioni popolari le "idi di marzo" erano giornate di notizie liete - nel nostro caso Bergoglio Papa - . La storia però racconta un evento tragico lo stesso mese dell'anno 44 a.C. - l'uccisione di Giulio Cesare - fatto che capovolse l'originale significato di buon presagio che in questo caso, naturalmente senza raggiungere la drammaticità storica del citato magnicidio, è stata la rimozione del monumento donato dalla comunità. Una decisione che ha provocato in noi sentimenti di tristezza, di rabbia e di impotenza.
IL VALORE DI UN'IMMAGINE
E' evidente che i media di tutto il mondo si sono prodigati sul “Papa Argentino,” dedicandogli migliaia di servizi sulla sua personalità e le sue iniziative per cui è difficile aggiungere altro materiale originale. Invece il caso del monumento a Colombo, ha avuto una presenza spasmodica e tutto sommato scarsa sulla stampa, ragione che in qualche modo ci induce a fare alcune considerazioni al riguardo. Naturalmente il monumento a Colombo per noi riveste un profondo significato per diverse ragioni, non ultima il fatto che sia stato pagato con una raccolta di fondi tra gli emigrati italiani agli inizi del XX secolo, alla quale parteciparono connazionali di ogni condizione e di tutta l'Argentina, e che in uno stupendo gesto di generosità lo donarono al popolo argentino, aderendo alle manifestazioni del primo centenario della “Revoluciòn de Mayo”. Provavano loro e proviamo noi una grande soddisfazione perché questa deferenza , diventata icona per la nostra collettività, viene considerato uno tra i più belli al mondo e l’unico nell’America Latina con iscritto il nome nell’originale italiano “A Cristoforo Colombo” e anche perché costituisce uno dei monumenti emblematici della Capitale argentina.
UNA DECISIONE CONTROVERSA
Non è un mistero che il governo K si identifica con l’ideologia bolivariana dello scomparso Hugo Chavez e che tra l’identità di vedute, entrambi esprimono loro ripudio a quanto “lo scopritore dell’America” rappresenta, e il monumento diventa “il capro espiatorio” di quella fobia. Ma mentre a Caracas i “chavistas” tendono a distruggerli, qui a Buenos Aires, per liberarsi di una “così molesta presenza”, il governo adoperò una tattica indiretta: smontarlo per mandarlo via, una procedura che per adesso ha provocato incrinature e altri danni che ne compromettono seriamente l’integrità.
Sicuramente il “Colombo coricato” è diventato una metafora di questi tempi, dell’impronta che il Governo K sembra assegnare all’eredità italiana e mentre assaggia i frutti di una vittoria che sembra sul punto di conquistare, sulla controversa decisione piovono critiche, da parte di chi considera ridicolo l’aver suscitato questa sorte di “guerra delle statue” - Colombo contro Azurduy - ma anche dalla società la quale, nonostante una certa indifferenza sulle peripezie del monumento, considera il trasloco una spesa innecessaria e assurda. Nel frattempo cresceva la disputa politica con il Governo della Città, il quale considera il monumento a Colombo parte indiscutibile del suo patrimonio, e anche il malcontento di un ampio settore della nostra comunità che si sente offesa per la decisione di spostare l’opera donata un secolo fa, uno smacco che in un certo senso coinvolge tutti i cittadini, anche senza radici italiane, ma che sono discendenti di europei.
Non c’è dubbio che come comunità percorriamo strade complicate nelle quali si sente che “c’è qualcosa che non va” e le ragioni vanno ricercate nel difficile periodo di transizione che stiamo attraversando, con un imperioso bisogno di rinnovo di dirigenti, molti dei quali già veterani, parte dell’ultima ondata migratoria del dopoguerra, che pur se possono esibire importanti successi nel passato, oggi dovrebbero cedere il passo, accompagnando le nuove generazioni le quali, comunque, dovrebbero prioritariamente mettersi al lavoro per elaborare un nuovo progetto di comunità.
Intanto dobbiamo sopportare una serie di assurdità e paradossi subiti col monumento a Colombo, che comprendono tra gli altri, che sia stato espropriato, incarcerato e condannato all’esilio. Che la statua, in modo alquanto insolito, sia stata rimossa dal piedistallo e fatta scendere, condannata a dormire la siesta nei giardini della Casa Rosada e che il “bello addormentato della piazza” sia diventata un’immagine entrata nella galleria delle balordaggini. Ad esse si aggiungono i paradossi, come il fatto che una scultura innalzata per esprimere i sentimenti di fratellanza verso un paese che ci ha accolto a braccia aperte, sia diventato il monumento della discordia e il dissidio. E il paradosso che il 12 ottobre, data con la quale l’Argentina celebra la “Giornata del rispetto della diversità culturale”, si verifichi nei nostri riguardi una evidente mancanza di rispetto per la nostra cultura.
A completamento di questa melodrammatica situazione, sono stati presentati diversi ricorsi alla giustizia, allo scopo di ottenere una tregua e di evitare il trasloco del monumento, la cui destinazione finale è al momento incerta e imprevedibile. Dicono che il peggio di non affrontare la realtà dell’assurdo è finire per abituarsi, arrendersi per farla diventare una realtà alternativa, accettabile e possibile. Da noi dipende evitare che questa sentenza diventi esecutiva.
WALTER CICCIONE
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fonte Tribuna Italiana
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