(ASI) Dall’inizio del 2011 sono 6 i detenuti che si sono suicidati in case circondariali; l’ultima vittima è stata un giovane di 23 anni, detenuto nel carcere di Capanne a Perugia. Spesso, il sistema carcerario italiano, ci viene descritto come pulito e rassicurante, con servizi adeguati e che, come scritto nell’articolo 27 della Costituzione italiana, “tende alla rieducazione del condannato”.
Ma i dati che ci vengono forniti sulla situazione carceraria italiana sono allarmanti: 200 istituti ospitano circa 67.000 detenuti, 20.000 in più di quelli che potrebbero contenere; solo il 22% dei carcerati lavora; il 37% è di nazionalità straniera. La regione che si aggiudica più reclusi è la Lombardia, sono infatti ben 8.813 gli ospiti delle case circondariali. Solo il carcere di San Vittore a Milano ha un sovraffollamento di oltre 600 persone. Il carcere di Poggioreale a Napoli che ha una capienza di 1.400 unità, ne contiene 2.266. Il sovraffollamento è uno dei maggiori problemi. Numerose sono le lettere di denuncia di maltrattamenti e di situazioni insostenibili che sono inviate ad associazioni che si battono contro le ingiustizie del mondo carcerario; poche sono le risposte delle autorità. Detenuti costretti a vivere in pochi metri quadri, bagno - aperto -, compreso. E’ recente “la doccia fredda” dei detenuti romani di Regina Coeli che, per una semplice caldaia da sostituire, non hanno avuto acqua calda per quasi due mesi.
Chi sta in carcere?
Tra immunità parlamentari, condoni fiscali e, soprattutto, la possibilità di allungare i tempi grazie a chi può pagarsi avvocati famosi, sono solo i “poveracci” che ci rimettono. Le fasce più deboli, i malcapitati, i tossicodipendenti e gli immigrati sono i principali attori non protagonisti che si addentrano in questa realtà. Una realtà che è tutto il contrario di come ci viene descritta. Una realtà triste, nuda e cruda e, a volte, spaventosa. Vittime dei casi, persone qualunque che non si sono costruite fortune sulle spalle altrui. Tossici che non vogliono assolutamente la morte o la detenzione ma, esperienze diverse, libertà, eccitazione e sicurezza interiore cercando quello che la sub-cultura gli indica come la strada più semplice e corta da percorrere. Vittime della società cercano la morte senza saperlo e vanno contro la indoles – natura – dell’uomo.
Abbiamo uno Stato che garantisce i diritti fondamentali?
Nell’articolo 27 della Costituzione italiana si legge testualmente: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato – e ancora - l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Non è propriamente così. Nei carceri italiani “abitano” più presunti innocenti che condannati con pena definitiva. Secondo un rapporto del Ministero della Giustizia, più di 15.000 detenuti sono in attesa del primo giudizio, la meta aspetta l’appello e circa 3.500 sono in attesa del giudizio di cassazione. Se pensiamo, invece, alla rieducazione del condannato ci viene in mente una domanda, tanto ovvia quanto scontata: il lavoro non nobilita l’uomo, anche se detenuto? Far lavorare i carcerati ed insegnargli un lavoro, sarebbe il primo passo per una “rieducazione” ed una ottima motivazione a non commettere reati quando torneranno liberi. Dietro le sbarre un passato, oltre, il futuro. O no?