(ASI) Memento audere semper! Ricordati di osare sempre, e su questo aspetto Massimo Oddo non può che trovarsi d’accordo con Gabriele D’Annunzio, suo celebre concittadino. La scelta di accettare la corte del Pescara è sia passionale, sia razionale. La ragione illuministica e il sentimento romantico vanno di pari passo.
Massimo Oddo ha attinto da Voltaire e Rousseau senza mai dimenticare Victor Hugo. È tornato ad essere nuovamente signore del Delfinato d’Abruzzo, delfino di un Delfino con cui riprendere antichi discorsi amorosi bruscamente interrotti nel giorno di San Valentino di più di tre anni fa.
Trame di gioco mai banali, 4-3-2-1 di pregevolissima fattura, calcio spumeggiante che, lontano da Pescara, ha perso un po’ di quella gradevole effervescenza. Bollicine evaporate non sempre per demeriti del mister, come capitato tra le antiche e poderose mura di Perugia durante l’utima stagione.
A Pian di Massiano in tanti si auguravano che Massimo Oddo riuscisse ad attuare lo stesso calcio di Pescara, senza considerare che la differenza la fanno gli interpreti in campo. Un po’ come chiedere all’abate benedettino Dom Pierre Pérignon di produrre champagne con uve Caricagiola. Troppo divario tra le due rose a disposizione dell’allenatore.
È venuto fuori un vinello aromatizzato comunque sufficiente a garantire un piazzamento nei playoff al termine del girone d’andata. L’esonero inspiegabile di gennaio ha rotto equilibri faticosamente creati, e il ritorno in panchina a tre gare dal termine del campionato, è parso francamente tardivo.
Momenti complessi, emotivamente non semplici, a cui aggiungere un nuovo esonero pianificato e mai consumato dal Perugia solo per mancanza di alternative. Nessuno degli allenatori interpellati ha voluto giustamente emulare il mulattiere Simmons nell’avamposto abbandonato di Fort Sedgewick in Kansas.
Oddo è rimasto al suo posto quando sarebbe stato più semplice levare le tende e farsi da parte. Lo ha fatto perché è un professionista, e in un mondo come quello del calcio in cui non esistono atéi, la professionalità rappresenta il sacro abito da indossare contro qualsiasi attacco profano.
A chi lo eventualmente lo contesterà per questa scelta fischietterà De Andrè, e rammenterà che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio quando non può più dare il cattivo esempio. Non dimenticherà il passato perugino, comunque importante sotto il profilo umano e professionale, ma guarderà avanti cercando di riprendere il volo nonostante qualche vento contrario. Et ventis adversis, parola di Gabriele D’Annunzio.
Raffaele Garinella - Agenzia Stampa Italia