(ASI) Uno dei motivi delle discussioni più accese dei tifosi e degli addetti ai lavori, nel dopo partita, è spesso l’operato dell’arbitro. E’ stato giusto? Oppure ha favorito, con le sue decisioni, una squadra e danneggiato l’altra? Le argomentazioni sono, come si può immaginare, pressoché infinite.
E’ doveroso, però, prima di addentrarsi in questa selva oscura, fare delle premesse. Alcune - lo so - sono anche scontate e ovvie, ma è comunque il caso di ricordarle. La prima è che gli arbitri sono delle persone e come tali sbagliano, questo per dire che gli errori non si potranno mai evitare. Con o senza Var. Come già si è visto. La seconda è che bisogna considerare gli errori, eventualmente commessi, fatti in buona fede. Quando qualcuno, e capita spesso, insinua la malafede o peggio il dolo, rende inutile qualsiasi ulteriore considerazione e commento. Non vi è dubbio, tuttavia, che in un Paese come l’Italia, tra i più corrotti al mondo, la condotta ambigua e discutibile di qualche arbitro, qualche volta, induce in tentazione e a qualche pensiero cattivo. Il contesto, insomma, non c’è dubbio, nuoce anche ai direttori di gara. Detto questo, con tutte le attenuanti che si devono concedere, ci sono state recentemente delle situazioni che hanno lasciando dubbiosi e perplessi un po’ tutti. Non solo i tifosi, che per definizione sono faziosi, anche quelli come me che per principio, considerando le difficoltà dell’arbitraggio, e per le ragioni dette sopra, è portato, quasi sempre, a capire e giustificare l’operato degli arbitri. I dubbi si riferiscono a due episodi che si sono verificati negli ultimi tempi e che riguardano il Perugia. Danneggiato gravemente a Palermo e a Cremona. Al “Barbera” sullo 0-0, Riccardo Ros, arbitro di Pordenone, ha concesso ai padroni di casa un calcio di rigore (poi trasformato, con conseguente vittoria del Palermo per 1-0) perché Nestorovski ha colpito con violenza la palla che è andata a sbattere prima sulla gamba e poi rimbalzata sul braccio di Colombatto. Sabato scorso a Cremona l’arbitro Antonio Di Martino di Teramo al 41’ del s.t., con il Perugia in vantaggio per 3-2, ha concesso un calcio di rigore ai grigiorossi perché Mustacchio, solo in area, con un intervento goffo e maldestro ha lisciato la palla che è andata a toccare il braccio del calciatore. La Cremonese, così, ha raggiunto il pareggio (3-3). Nei due episodi, costati tre punti al Perugia, gli arbitri (4 in pagella) hanno visto bene il fallo di mano, solo che hanno interpretato al contrario quello che stabilisce il regolamento. La regola 12, che molti che parlano in Tv e scrivono sui giornali non hanno mai letto, elenca i falli e le scorrettezze, e aggiunge anche i criteri ai quali l’arbitro si deve attenere. A proposito del fallo di mano si tratta di stabilire la intenzionalità del fallo. L’arbitro “deve valutare se il contatto tra il pallone e la mano o il braccio è voluto dal calciatore, o se questi allarga, alza o muove o, comunque, tiene le mani o le braccia con l’intenzione di costituire maggiore ostacolo alla traiettoria del pallone. Non deve essere considerato intenzionale il gesto istintivo di ripararsi il viso o il basso ventre dal pallone, oppure se, per naturale effetto del movimento corporeo, un calciatore tiene le braccia distaccate dal busto ed il pallone vi urta contro, oppure se per effetto della distanza ravvicinata il calciatore non ha potuto evitare il contatto tra le braccia ed il pallone”. Come si vede, alla luce dei criteri appena riportati, gli errori di Ros a Palermo e di Di Martino a Cremona sono stati grossolani, clamorosi e del tutto incomprensibili. Colombatto non poteva evitare l’impatto del braccio con il pallone perché arrivava dopo aver colpito la gamba, quindi da distanza ravvicinata. Mustacchio aveva fatto uno strano movimento corporeo, mancando la palla che intendeva colpire con il piede e che poi è andata a sbattere, senza nessuna intenzionalità, sul braccio. Che dire? Ros e Di Martino farebbero bene e fare un ripasso delle regole e, soprattutto, dei criteri di applicazione delle stesse, che non sono lasciate, come erroneamente pensano e credono, alla loro assoluta discrezionalità. Se non lo dovessero fare volontariamente glielo dovrebbero imporre i dirigenti arbitrali.
Fortunato Vinci – Agenzia Stampa Italia