(ASI) Perugia. Il concerto di apertura per Bubby Guy lo compiono Ruthie Foster e la sua ottima band, in un afoso lunedì sera presso l’Arena. La voce è molto morbida, potente, chiara e la pronuncia ottima; è ricca di sfumature.
Lei è molto intonata tanto da poter fare a meno dell’orchestra per esprimersi senza difficoltà, la voce rauca è sfoderata con parsimonia e senza eccessi. Prototipi potrebbero ritrovarsi certamente in Whitney Houston e Stevie Wonder. Il modo ottimo fa trasparire una particolare dolcezza. La espressività è forte come la sicurezza in palcoscenico, frutto di uno stile sedimentato e di una formazione matura e di brani accuratamente preparati. Il loro Blues è molto attuale con netti richiami al country e ad un approccio di “quotidiano”. I brani, spesso narrativi, secondo la migliore tradizione popolare del genere, possono talora essere evocativi e in linea con le suggestioni della musica afroamericana delle origini. I ritmi purtroppo eccessivamente ostinati e relativamente volgari e gli accenni al rock sono in linea con la popolarità della forma espressiva. La loro musica “semplice” è bella. Spiccatamente tonale, è molto solare e liberatoria ed incontra il gusto di un pubblico che quest’anno sembra essere abbastanza selezionato e settoriale, come lo sono certi aspetti di questa edizione 2016.
Segue Buddy Guy, che quasi ottantenne dimostra in modo impressionante tutta la sua grinta, la sua prestanza fisica e tutta la veemenza artistica di un ventenne in piena energia. Canta “Damn Right, I've Got The Blues”, questa icona del Blues, che è un caposcuola e figura di riferimento. Siamo ben consapevoli che entrerà nella storia di questo genere musicale e del jazz in generale. Un onore ed una occasione averlo potuto ascoltare; nella sua straordinaria ironia musicale che ammalia un pubblico che lo ama molto. Gli arrangiamenti sono eccellenti, la sua tecnica elevata, il livello espressivo è altamente attuale pur restando chiaramente nel filone e nella tradizione di genere. La citata prestanza sul palco e la tensione sviluppata restano sempre alte per tutto il concerto fino all’ultimo e senza un cenno di stanchezza, come accade per tutti i grandi artisti. Le finte dissonanze dosate senza eccessi tolgono di mezzo ogni banalità. I testi sono molto narrativi e scendono nel recitativo, di contro quando richiesto la voce è potente. Si capisce ascoltandolo che si è in presenza di un caposaldo di genere. L’orchestra è molto affiatata, eseguono tutti molto velocemente, con precisione ed agiscono per frasi stereotipate, o meglio per stilemi. Non mancano quindi molti virtuosismi, così come un certo gusto anni Settanta. Ciò che impressiona e piace è il gioco dei volumi, passando dal pianissimo e dal sussurrato alle esplosioni musicali. D’improvviso esce dal palco e scende tra il pubblico, che va in delirio attorniandolo; canta e fa cantare per una straordinaria mossa di spontaneità, di contatto e di tributo alla folla. Taglia un distacco e produce grande empatia con gli spettatori entusiasti. Il fuori programma è riuscitissimo. Bello il momento in cui fa cantare un suo pupillo, il 17 enne Quinn Sullivan, che richiama molto lo stile del maestro.
Giuseppe Marino Nardelli - Agenzia Stampa Italia
Foto di Matteo Marzella
Buddy Guy
Ruthie Foster